Napolitano: nascosta la gravità  della crisi

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RIMINI — È forse il più duro richiamo che abbia lanciato da quando è al Quirinale. Un richiamo a «parlare il linguaggio della verità », come dovrebbero fare tutti coloro che hanno «responsabilità  nelle istituzioni», se si vuole che il Paese abbia consapevolezza delle emergenze da affrontare. Dunque è lui per primo, adesso, a scegliere la via della comunicazione aspra e priva di reticenze per chiedersi — con un interrogativo retorico — se «in questi tre anni» si sia stati abbastanza sinceri, in Italia. La replica, che chiama in causa il governo, è no. Per cui avverte: «Stiamo attenti, dare fiducia non significa alimentare illusioni… non si dà  fiducia e non si suscitano le reazioni necessarie minimizzando o sdrammatizzando i nodi critici della realtà , ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio. Il coraggio della speranza, della verità  e dell’impegno».
Parte da qui l’allarme, motivato e senza attenuanti per nessuno, che innerva il discorso di Giorgio Napolitano alla vigilia della riapertura dell’attività  parlamentare per sollecitare «una svolta». Parola che ripete come un mantra perché a suo avviso è proprio ciò che «si impone», oggi. Non a caso, osserva, da quando l’Italia, per il suo debito pubblico, è stata investita da una «dura crisi di fiducia» e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, «siamo immersi un angoscioso presente… in un’obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti».
L’allusione è ovviamente alla manovra economica, sulla quale le Camere dovranno confrontarsi su problemi che, recrimina, «a noi spettava affrontare da tempo». Possibile, si domanda il presidente, «che si sia esitato a riconoscere la criticità  della nostra situazione e la gravità  effettiva delle questioni, perché le forze di maggioranza sono state dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità  del proprio operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche e comparazioni consolatorie su scala europea?» Possibile, insiste, «che da parte delle forze d’opposizione, ogni criticità  della condizione attuale del Paese sia stata ricondotta a omissioni e colpe del governo, della sua guida e della coalizione su cui si regge?». Ecco la chiave del ragionamento di Napolitano davanti alla platea che lo accoglie con calore al Meeting di Comunione e liberazione, a Rimini.
Riflessione con un respiro ben più ampio delle contingenze di questi giorni difficili, che richiederebbero comunque «più oggettività  nelle analisi, più misura nei giudizi, più apertura e meno insofferenza verso le voci critiche e le opinioni altrui». Per lui, a parte i saldi in bilico della nostra economia, quello che sta scadendo è il tempo della politica.
Infatti, sottolinea, «ci sono momenti in cui si può quasi disperare dell’apporto insostituibile della politica e dello Stato, di fronte alle sfide che oggi stringono l’Italia…». Così, confessa, «non credo a una impermeabilità  della politica che possa durare ancora a lungo, sotto l’incalzare degli eventi, delle sollecitazioni che crescono all’interno e vengono dall’esterno del Paese». Insomma, «il prezzo che si paga per il prevalere di calcoli di parte e di logiche di scontro sta diventando insostenibile… una cosa è credere nella democrazia dell’alternanza, altra cosa è lasciarla degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune interesse nazionale». E un esempio dei «danni» che il «radicalizzarsi dello spirito partigiano e della contrapposizione tra schieramenti» può produrre, il capo dello Stato lo vede nelle difficoltà  in cui si dibatte l’America, «luogo storico» dove tale formula politica di solito «porta a competere ma anche a convergere».
Bisognerebbe quindi sapersi correggere e «non farsi condizionare da quel che si è sedimentato» da noi tra il 1992 e ora, in termini di «chiusure, arroccamenti, faziosità  obiettivi di potere e personalismi dilaganti in seno a ogni parte». E proprio sulla manovra (che va messa in sicurezza in tempi brevi, altrimenti si sfascia tutto), si potrebbe misurare la volontà  di uscire da questo modo patologico di interpretare la democrazia dell’alternanza. Per restituire una dimensione civile alla politica.
Sfida che Napolitano vorrebbe fosse colta con sensibilità  bipartisan, «valorizzando ogni sforzo di disgelo e di dialogo» e disegnando un nuovo modello di sviluppo nel quale le misure di rigore si accompagnino a provvedimenti per la crescita. Ispirati, gli uni e gli altri, all’equità  e con «scelte non di breve termine e corto respiro, ma di medio e lungo periodo», poiché «da due decenni è in aumento la diseguaglianza, dopo una marcia secolare in senso opposto». Un sentiero stretto, che ci vincola a «fare i conti con noi stessi» e che, al di là  della manovra in discussione, dovrebbe imporci «l’impegno categorico», accanto alla riforma della giustizia, di una riforma fiscale in grado di cancellare quella «stortura, dal punto di vista economico, legale e morale, divenuta intollerabile» che è l’evasione di cui abbiamo «un triste primato» e verso la quale non sono più ammesse «assuefazioni e debolezze». L’Italia può farcela e lo dimostra la sua stessa storia, conclude esortativo, richiamando la «grande tensione che animò l’esperienza della Costituente».


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