Napolitano chiede azioni immediate e invoca «coesione»
ROMA — Fare presto e bene. Presto, perché rischiamo ormai un bagno di sangue sui mercati e non sono più possibili esitazioni. Bene, perché bisogna rassicurare una volta per tutte i partner dell’euro e la Bce (che ci ha offerto, sì, un aiuto, ma condizionato), dimostrando che l’Italia sa gestire la crisi. Sono state queste due urgenze a dominare il colloquio tra il presidente della Repubblica e il premier, accompagnato da Gianni Letta e dal ministro Tremonti, ieri pomeriggio al Quirinale. Il precipitoso rientro a Roma di Giorgio Napolitano, in anticipo sul suo già breve calendario di vacanze a Stromboli, era di per sé un segnale della difficoltà del momento e del timore che certi nodi interni alla maggioranza blocchino il governo in un’insopportabile surplace.
Insomma: la preoccupazione del capo dello Stato era che, a tempo quasi scaduto per quanto riguarda la risposta del nostro Paese all’ondata di panico internazionale, potesse ancora mancare una «piena consapevolezza» di quanto è profondo il baratro che ci sta di fronte. E di come sia decisivo prendere «immediate contromisure», attraverso quel decreto di cui agli uffici giuridici del Colle non è ancora giunta né un’anteprima di massima né, tantomeno, una bozza più articolata.
Berlusconi e Tremonti hanno illustrato al presidente — solo a voce, dunque — alcune parti del provvedimento virtualmente pronte, in particolare alcune misure fiscali e finanziarie, e si sono limitati ad accennare altre parti che restano da approfondire (le più pesanti e controverse, la cui vaghezza dipende dal mancato accordo politico). Ma si sono impegnati a chiudere la partita entro la riapertura dei mercati dopo Ferragosto. Vale a dire che tra stasera e domani dovrebbero varare il provvedimento, in modo di recapitarlo al Quirinale nel weekend e consentirne analisi e firma.
È una sfida con l’orologio in mano che Napolitano segue monitorando maggioranza e opposizione attraverso un giro d’orizzonte cominciato ieri con una telefonata al presidente del Senato Schifani e con un paio di incontri importanti (Bersani e Casini) e destinato a proseguire oggi con un’udienza riservata al neosegretario del Pdl Alfano e al presidente della Camera Fini. Se al governo, al quale compete la responsabilità del decreto, domanda «scelte equilibrate, con sacrifici da distribuire con equità verso tutti i cittadini» in modo di non alimentare il conflitto sociale, il sondaggio del capo dello Stato con gli altri punta a mettere a fuoco il grado di disponibilità ad «accettare il confronto», magari con proposte proprie e in ogni caso senza alzare a priori le barricate. E in questa direzione si è espresso Bersani.
Sembra un rilancio della richiesta per «un impegno di coesione» che aveva fruttato il rapidissimo via libera alla manovra di fine luglio. E qui, per non equivocare il senso dell’iniziativa a largo raggio di Napolitano e non azzardare l’idea di mediazioni che non gli competerebbero, tornano utili le sue stesse parole di pochi giorni fa. «Quando parlo di coesione non la intendo come rinuncia da parte di qualche forza politica o sociale alle proprie ragioni e impostazioni, né come passaggio fortunoso o obbligato da piattaforme nettamente contrastanti a un programma unificante. Intendo il riconoscere la complessità e gravità dei problemi che si sono accumulati e che pongono a rischio il futuro del Paese: escludere competizioni perverse sul terreno della dissimulazione, della sdrammatizzazione e del populismo demagogico, aprirsi a un confronto serio».
Ecco lo spirito di interesse nazionale che il presidente vorrebbe rianimare sui due versanti della politica. La posta in gioco è molto alta e, mentre Bossi si sganghera polemicamente ipotizzando contro il governo addirittura un complotto di Bce e Mario Draghi (sottintendendo d’infilata forse pure il non citato Napolitano), ora sta a Berlusconi fare la prima mossa.
Related Articles
Pensionamento anticipato dei giudici I dubbi del Csm: aperto un dossier
Domani il verdetto del plenum del Csm sullo scontro interno alla procura di Milano tra Edmondo Bruti Liberati e il suo vice Alfredo Robledo
Trucchi, tribunali, verdetti il derby lungo vent’anni tra il Cavaliere e la Giustizia
Dalle leggi ad personam alla condanna di oggi
Choc nel partito lombardo «Per noi era il modernizzatore»
MILANO — Erano anche tempi che quella spregiudicatezza la chiamavano modernità . Nell’ex partitone rosso, nei pochi chilometri che separano i palazzi che contano di Milano da quelli di Sesto San Giovanni, qualcuno lo ricorda: Filippo Penati per un decennio buono è stato l’unico simbolo vincente e positivo di un partito «geneticamente vecchio», rivolto al passato e votato a sconfitta sicura.