Mistero sulla sorte dell’uomo di Lockerbie «No all’estradizione»

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TRIPOLI — Che fine ha fatto Abdel Baset Al Megrahi? La caccia dei giornalisti nelle ultime ore a uno dei più controversi e terribili personaggi dell’era Gheddafi è parte della grande narrativa che accompagna la fine della dittatura. Lo cercano nella sua abitazione, in un quartiere tranquillo alla periferia occidentale della capitale. I vicini dicono di non saperne nulla: «Sino a venerdì lo abbiamo visto vicino alla porta della sua abitazione. Poi è sparito». Qualcuno suggerisce che Gheddafi lo avrebbe portato con sé perché «sa troppe cose». In serata l’inviato della Cnn, Nic Robertson, sostiene di averlo trovato nella sua villa e scatta una foto che mostra un anziano disteso su un letto con mascherina per l’ossigeno: «È in coma e in fin di vita». Robertson riporta le parole del figlio Khaled: «Gli diamo solo ossigeno, nessuno ci aiuta».
I ribelli sono contrari alla sua estradizione in Inghilterra o in America. Al Megrahi è sinonimo di terrorismo di Stato, malizia di Gheddafi, imbroglio e tradimento. Accusato di essere tra gli agenti del regime responsabili dell’attentato contro il volo 103 della Pan Am fatto esplodere a 10.000 metri di altezza sopra il villaggio scozzese di Lockerbie nel 1988, è stato l’unico a venire consegnato alla giustizia, processato e condannato all’ergastolo. La vicenda è uno dei tanti punti oscuri dell’ambigua convivenza tra Gheddafi e Occidente negli ultimi 10 anni. Consegnato ai giudici scozzesi nel contesto del processo di miglioramento dei rapporti con la Libia, Al Megrahi dopo otto anni di carcere nel 2009 venne riconsegnato alla Libia per «motivi umanitari». Ammalato di cancro, si pensava dovesse spirare entro pochi mesi. Ma fu scandalo quando Gheddafi lo accolse con tutti gli onori, come un martire perseguitato, un eroe nazionale. Poi si scoprì che il malato sopravviveva bene, molto più del previsto. Tornarono a chiedere giustizia le associazioni dei familiari dei 270 morti di Lockerbie. Ci furono pressioni sui governi di Londra e Washington. Sino a che il 22 agosto un senatore di New York, Charles Schumer, è tornato a chiederne l’estradizione. Non una richiesta formale. Ma una forma di pressione. Ieri il ministro della Giustizia del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, Mohammed Al Alagi, ha messo le mani avanti. «Al Megrahi resterà  in patria. Non siamo come Gheddafi che manda i libici ad essere processati all’estero. Per noi il caso è chiuso».


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