Missili, cecchini e machete l’ultimo martirio di Tripoli

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TRIPOLI – Il fantasma del raìs vaga ancora nella notte di Tripoli. Lo ha detto lui stesso nell’ultimo minaccioso messaggio diffuso dalla tv siriana: «Ho passeggiato in incognito, senza che la gente mi vedesse, e ho notato giovani pronti a difendere la loro città . Giovani che ripuliranno Tripoli dai ratti». Poi ha mandato in avanscoperta Aisha, la sua figlia prediletta. Un appello a resistere lanciato dalla bella avvocatessa attraverso la tv lealista Al Orouba: «Chiedo al popolo libico di affrontare uniti la Nato, chiedo al popolo libico di non temere le forze armate. Il leader è nel giusto». Quasi una beffa, dopo le aperture – vere o fasulle, qui è sempre difficile capire – di Saadi, il calciatore, un altro dei figli del Colonnello che alla Cnn aveva appena finito di dire che «è ora di negoziare il cessate il fuoco, per evitare ulteriori spargimenti di sangue».
E mentre il Consiglio dei ribelli mette una taglia da 1,6 milioni di dollari sulla testa di Gheddafi – «siamo pronti a graziare chi dovrebbe ucciderlo», ha detto il presidente del Consiglio di transizione Mustafa Abdel Jalil – si combatte ancora nella Tripoli liberata dagli insorti. I towars della rivoluzione martedì notte hanno espugnato Bab al Aziziya, ora si fanno fotografare sul monumento eretto da Gheddafi dopo i bombardamenti Usa dell’86, un pugno che stringe un aereo, sono entrati nella tenda dove il raìs riceveva gli ospiti stranieri e ne hanno calpestato i tappeti e sputato sulle fotografie ma ad una decina di metri di distanza infuria la battaglia.
Un ribelle mostra i corpi straziati di due gheddafiani, li tocca con un machete. Uno dei due ha la pelle scurissima, probabilmente è un mercenario venuto dall’Africa. «Questo non lascerà  più la Libia» dice il guerrigliero ma proprio in quel momento però dall’ultimo bastione dove sono asserragliati gli irriducibili del regime arriva un colpo di mortaio.
È una strana liberazione quella che sta vivendo Tripoli. Sulla riva del mare ci sono due ottimisti in costume che si accingono a fare il bagno mentre interi quartieri della parte orientale sono senza energia elettrica da più di due mesi. In centro si spara per aria, si suonano ossessivamente i clacson per festeggiare la liberazione e dall’ultima ridotta delle forze speciali di Gheddafi, un fortino dai muri di cemento armato spessi diversi metri, arrivano missili Grad e colpi di mortai mentre gli sniper cercano un bersaglio per i loro fucili di precisione. Tra i ragazzi che assediano l’ultima parte di Bab Al Aziziya ancora in mano alle forze di Gheddafi ce n’è uno con una bandana tricolore che parla italiano. «Sono stato a Perugia quattro anni – dice agitando il fucile d’assalto – sono tornato per combattere Gheddafi». Pochi metri più in là  c’è un ribelle che sembra tutto tranne che libico: capelli biondi, barba incolta ma chiara su una mascella quadrata. Probabilmente è uno Special Forces che inglesi, francesi e persino il Qatar hanno inviato nei mesi scorsi a dar un minimo di organizzazione all’armata ribelle.
Si combatte però anche ad al-Hadbha al-Khadra, ad Airport Road dove il Consiglio di Transizione è convinto si nasconda Gheddafi. E soprattutto si spara nel quartiere di Abousalim, popolato da sempre da malavitosi e vicino a Bab Al Aziziya, la residenza fortificata di Gheddafi. I ribelli dicono che il raìs ha assoldato i boss del quartiere per affrontare la loro avanzata. «Qualcuno di loro però ha rifiutato – dice un guerrigliero – anche per loro Gheddafi era troppo criminale».
Sulla strada di Sirte, città  natale del raìs, i fedelissimi del regime però sono riusciti ad avanzare di almeno cinquanta chilometri verso la capitale. I lealisti hanno continuato a sparare missili su Misurata. Poi hanno puntato su Ajelat a ovest di Tripoli. Il Colonnello, e quel che resta delle sue truppe, non ha alcuna intenzione di arrendersi. E, almeno a sentire i ribelli, ci sono cecchini appostati in alto al di fuori del perimetro di Bab Al Aziziya: «Ce ne sono decine e non si riesce a capire dove sono», racconta Nouri Mohamed, il capo di un gruppo di insorti libici a Tripoli.
Ieri dopo scontri furiosi sono stati finalmente liberati i giornalisti stranieri che da giorni erano prigionieri nell’hotel Rixos, strettamente controllato dalle forze gheddafiane. Appena uscito un operatore tv è stato chiamato da un automobilista che gli ha chiesto di poter registrare un messaggio per Gheddafi prima che sia catturato o ucciso. «E’ dagli Anni ‘80 che voglio dirtelo – ha detto l’uomo parlando direttamente al raìs – ti sei paragonato ai profeti ma i profeti non hanno bisogno di scacciamosche e le mosche sono attirate dalla m…».
Mentre in alcuni quartieri infuriano quelli che dovrebbero essere gli ultimi scontri (oggi sono attesi a Tripoli anche i ribelli di Bengasi) e il Consiglio di Transizione, spalleggiato dalle forze speciali della Nato è in caccia di Gheddafi, nel resto della città  si festeggia la liberazione. Ovunque si spara in aria, difficile distinguere i colpi per la felicità  e quelli che arrivano invece dalla battaglia. Dal bagagliaio di una Peugeot penzolano le gambe di un cadavere. L’autista è in lacrime e spiega: «Rotel è morto combattendo per la libertà , ha il diritto di festeggiare anche lui la liberazione».


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