by Sergio Segio | 5 Agosto 2011 6:43
È l’ultimo passo di un dialogo per la verità molto difficile – ma pur sempre un dialogo, ed è certo meglio delle scorribande di centinaia di agenti di polizia tra i villaggi indigeni avvenute tra gennaio e marzo di quest’anno…
Ricapitoliamo. Oggetto del contendere è la centrale idroelettrica di Palo Viejo, nel bacino del fiume Cotzal, che l’Enel ha cominciato a costruire nel 2008. L’opera era stata autorizzata un anno prima dal governo guatemalteco, non c’è che dire, e l’azienda italiana ha acquistato i terreni interessati dal proprietario di una grande tenuta, la Finca San Francisco. C’è solo un dettaglio: l’azienda, e le autorità governative, hanno violato il diritto delle comunità locali a essere informate e consultate. Anzi, le hanno del tutto ignorate. Così queste hanno cominciato a obiettare, presentare documenti, tenere marce di protesta, chiedere di incontrare le autorità e l’azienda. Dapprima, le autorità e l’Enel li hanno trattati come pochi facinorosi: la municipalità aveva già dato il suo accordo, l’Enel aveva già avviato piccoli interventi sociali (solo nelle comunità che accettavano di sottoscrivere il progetto). Molti leader di comunità sono stati denunciati.
Il massimo della tensione è stato toccato nei primi mesi dell’anno, quando tre comunità locali hanno deciso di bloccare le strade per protesta e per tre volte il governo ha mandato centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa e volti coperti dai passamontagna a presidiare i villaggi «ribelli» (terraterra ne ha riferito il 29 marzo e il 26 maggio): scena che ricorda fin troppo bene gli anni della guerra civile degli anni ’80, quando con la scusa di “combattere il terrorismo” l’esercito seminava esecuzioni di massa, torture, stupri nei villaggi indigeni del Quiché: le comunità di Cotzal ricordano 114 massacri, prima degli accordi di pace del 1996.
Alla fine, tacciare gli oppositori di facinorosi non deve aver funzionato, perché un dialogo ha preso il via (ma ancora il primo incontro, il 2 maggio scorso, è stato “sorvegliato” da 700 poliziotti in tenuta antisommossa). Il 7 maggio, il rappresentante dell’azienda e quelli delle comunità maya-ixil hanno sottoscritto un reciproco riconoscimento: l’Enel «riconosce e rispetta le autorità ancestrali come rappresentanti legittimi delle comunità indigene», mentre queste «riconoscono che Enel Guatemala è una società legalmente stabilita nel paese». Si parla della Costituzione del Guatemala, della Convenzione 169 dell’organizzazione internazionale del lavoro: in fondo, le comunità maya non fanno che appellarsi al diritto riconosciuto. E non chiedono nulla di sovversivo: «Trovare un equilibrio tra i profitti dell’impresa Enel e i diritti a una degna esistenza delle comunità », dice il documento delle “municipalità indigene e autorità ancestrali” di Chajul, Cotzal e Nebaj, le tre comunità native della zona.
Ora entrano nel merito. Quale beneficio trarranno le comunità indigene di Cotzal dallo sfruttamento delle loro montagne, foreste, fiumi nei cinquant’anni di attività prevista della centrale idroelettrica dell’Enel? L’azienda investe parecchi soldi, «ma senza le nostre montagne, boschi e fiumi non ci faranno energia elettrica», rivendicano: «Chiediamo il diritto ad amministrare il 20% dell’energia elettrica prodotta». Chiedono inoltre un indennizzo di 8 milioni di quetzales annui nei primi vent’anni, per i danni causati dall’opera. Come in ogni trattativa, ora sta all’Enel rispondere. Sperando che nessuno voglia tornare al metodo delle scorribande militari.
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