by Sergio Segio | 22 Agosto 2011 5:51
RIMINI — «Se c’è l’opportunità per la Fiat di operare in questo Paese lo farà tranquillamente. Se non lo vogliamo non lo farà ». «Abbiamo fatto tutto per il bene del Paese. Ma non vogliamo condizionare nessuno». E comunque «la Borsa non ha il minimo impatto sul valore della Fiat, che manterrà i suoi impegni. I programmi sono stati annunciati, puntiamo a portarli in conclusione». È un ritorno amaro quello dell’amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, al Meeting di Rimini. Catapultato, dopo un anno, giù dal palco e dalle ovazioni del popolo di Comunione e liberazione per l’avventura statunitense, alla prima fila delle critiche, per il rovescio in Borsa della Fiat. Stavolta il numero uno del Lingotto è giunto a sorpresa, prima del previsto, all’ombra del grande protagonista della giornata il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Al quale, l’ad Fiat si allinea: «Gli avevo promesso di venire ad ascoltarlo. È un uomo che stimo immensamente. Un punto di riferimento per il Paese in questo momento difficile in cui l’Italia ha bisogno di riacquistare la credibilità internazionale». Ne tesse le lodi in tempo reale: «Del suo discorso non avrei cambiato una virgola. È il momento delle certezze. Finché continua a produrre, il nostro Paese andrà bene. Occorre riacquistare la credibilità internazionale e attirare investitori stranieri per finanziare il debito pubblico. È il momento di essere tutti italiani, non uomini di partito». Ma soprattutto ne chiede sostegno contro la crisi, in un incontro, dietro le quinte del convegno, assieme all’amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Corrado Passera; di Enel, Fulvio Conti; di Ferrovie, Mauro Moretti e al direttore relazioni esterne Eni, Stefano Lucchini.
Polo nera, come l’umore, Marchionne non sfugge però alle domande sul dimezzamento in Borsa delle azioni Fiat. Anche se minimizza: «Tutto il sistema bancario si è dimezzato. Ma la Borsa non ha impatto sul valore della Fiat. Non so come fare a spiegarlo. C’è gente che sta andando in crisi per le azioni Fiat. Ma io non faccio il banchiere. Io faccio vetture, camion, motori. Il mercato americano continua ad andare bene. Possiamo trovarci cause di depressione in altre cose» non in questa.
Marchionne non ci sta a essere sotto accusa. E si toglie, come dice lui, «i sassolini dal piede». A chi gli imputa di essere stato l’ispiratore delle norme in manovra sui licenziamenti più facili, risponde: «Non abbiamo intenzione di condizionare la politica del nostro Paese. Noi rispecchiamo, nelle nostre scelte, una realtà della competizione globale e stiamo cercando di incorporare quei cambiamenti del modo in cui gestiamo il sistema internazionale. So che sono scelte non facili, ma riflettiamo l’immagine di una cosa che è disponibile alla Fiat da altrove». «Se c’è l’opportunità di operare in Italia la Fiat lo farà — dice netto — se non lo vogliamo no».
A chi, invece, lo critica per il Piano industriale del Lingotto, Marchionne risponde: «Quando abbiamo fatto la proposta di Fabbrica Italia erano finanziamenti proposti dalla Fiat senza nessuna assistenza né del governo, né di altri. Abbiamo trovato i soldi noi. Abbiamo la liquidità necessaria per farlo. Non possiamo mettere in dubbio le intenzioni della Fiat di fare questo per il bene del Paese. Se non è apprezzato, cerchiamo di andare oltre».
Marchionne dunque tira dritto per la sua strada. E annuncia che proseguirà anche il progetto dell’alleanza italo-indiana della Fiat con l’azienda automobilistica Tata. «Cambieranno solo i termini del progetto ma l’alleanza andrà avanti», dice prima di allontanarsi dal meeting a bordo di una Maserati meno nera del suo volto.
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