Manovra, sì del premier alle modifiche e apre al Pd sui capitali “scudati”

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ROMA – Bersani l’aveva messa al primo punto delle sue proposte alternative alla manovra Berlusconi-Tremonti. Per il responsabile economia del Pd Boccia era l’unica via «per evitare il massacro sociale e fiscale dei ceti medi». Ma a sponsorizzarla c’era anche il pidiellino Lupi, vice di Fini alla Camera. Adesso i tecnici dell’Economia stanno studiando in quale percentuale mettere una tassa sui capitali “scudati”, quelli rientrati in Italia grazie a una legge dello stesso Cavaliere. Il segretario del Pd l’aveva detto a Repubblica. Il premier a Ferragosto era aperturista, ma ancora incerto («Fatemela vedere prima»). Ma ecco che nel lavorio per rimontare la manovra – sempre a «saldi intoccabili» – l’idea di tassare dell’1-2% i soldi rientrati prende piede. Ma è questa “misura” che delude subito il Pd, il quale controbatte con uno share dal 19 al 27%, «come avviene negli altri Paesi». Altrimenti, dicono gli uomini di Bersani, non si capirebbe «perché si aumentano le tasse per le rendite finanziarie, mentre per gli evasori no».
Rischia di naufragare subito il tentativo di dialogo con l’opposizione di Berlusconi. Il quale da un lato tenta di aprire una porta all’opposizione e di guadagnarne il consenso, dall’altro cerca di tacitare il dissenso interno al Pdl, dove il gruppetto dei dissidenti, i seguaci di Crosetto, avrebbe già  superato quota 20, come assicura Stracquadanio. Tant’è che il segretario politico Alfano anticipa il rientro a Roma e mette in programma un incontro per trovare «un punto di sintesi». Il premier invoca «disciplina». I tempi sono stretti. Oggi la manovra arriva al Senato. Per un giorno riapre l’assemblea, ma solo per inviare il testo alle commissioni che dal 22 saranno al lavoro per approdare in aula il 5 settembre.
Giornata frenetiche. Berlusconi già  a Milano dopo il fine settimana nel buen ritiro di Porto Rotondo. Passeggiata di rito con i nipotini. Per sondare la reazione della gente. Che lì non gli è ostile. Lui può dire: «Vedete? È il segno che non c’è stato un calo di consensi nei miei confronti, tutt’altro…». Un Berlusconi aperturista, ma con giudizio: «Se alle Camere emergono idee migliorative, nulla osta a che siano accolte senza fare distinzioni sulla fonte dalla quale provengono». Ancora un no alla fiducia, «spero che non serva». Bersani ribatte: «Lo dice per tranquillizzare il suo pollaio, ma quando saremo sotto ci ripenserà ». Un niet sull’aumento dell’Iva, che era parso un suo cavallo di battaglia, ma il rischio sarebbe «contrarre i consumi e stimolare l’evasione fiscale.
Per dirla con Bersani «la manovra è già  figlia di nessuno». Ci va giù duro il leader Pd quando dice: «Purtroppo la barca è senza timone. In consiglio hanno votata la manovra all’unanimità  e dopo due ore nessuno voleva più esserne il padre». Bossi lo sfotte, «non ho ancora capito cosa vuole». Ma basta vedere cosa si sta scatenando nel Pdl. Dove il dissenso per un decreto calato dall’alto varca il piccolo gruppo dei dissidenti ufficiali e diventa un mal di pancia diffuso. Ecco un sempre berlusconiano come il vice capogruppo alla Camera Osvaldo Napoli dire che il nostro partito «non è una caserma» e le proposte alternative devono avere lo spazio che meritano. Boccia la tassa di solidarietà  e chiede un intervento sulle pensioni, su cui la Lega ha fatto muro. Un Carroccio pronto a mettere paletti, come quelli del ministro dell’Interno Bobo Maroni che chiede meno scure sugli enti locali. I frondisti del Pdl hanno già  abbozzato una lista di richieste. Niente «ricatti» insiste Crosetto, «solo voglia di un contributo». Ora parola ad Alfano.


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