Mani pulite all’indiana Boomerang per Singh

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Arrestare quel signore vestito di cotone bianco come il Mahatma Gandhi (e che ha dimostrato di avere un tocco magico con i media) non è stata cosa saggia per il governo del premier Manmohan Singh: nell’ultimo anno e mezzo ha dovuto gestire una serie di scandali che hanno coinvolto ministri e persone in vista della sua coalizione e del suo stesso partito – uno dei più giganteschi, il caso delle concessioni per la nuova generazione di telefonia mobile date fuori gara in cambio di mega tangenti, ha sottratto alle casse dello stato circa 29 miliardi di euro. La notizia dell’arresto ha dunque provocato la rabbia dei sostenitori. A centinaia sono andati ugualmente nel parco della capitale indiana dove era allestito il set per il suo digiuno, e a fine giornata oltre 1.300 persone erano dietro le sbarre o nei commissariati di polizia. Ma l’effetto è stato dirompente, le proteste continuano: la corruzione è probabilmente uno dei problemi più sentiti dagli indiani. E poi la costituzione indiana garantisce il diritto a tenere una pacifica protesta come quella che Hazare aveva annunciato, si legge su decine di commenti sui giornali.
Il governo indiano sta ora cercando una via d’uscita negoziata. Un provvedimento di scarcerazione preparato in fretta e furia dai magistrati è stato rifiutato dall’anziano attivista: non uscirà  da Tihar, il carcere centrale di New Delhi, finché non sarà  accettata la sua condizione – cioè finché non gli sarà  detto che può tornare nel parco e cominciare il suo digiuno di protesta. Un tentativo del primo ministro di riprendere in mano l’iniziativa politica si è saldato con una nuov a gaffe: Manmohan Singh si è rivolto al parlamento ieri – tra fischi e schiamazzi dell’opposizione – per dire che lui rispetta Anna Hazare e la sua causa, riconosce che è «ispirato da alti ideali», ma «la strada che ha scelto, di imporre una bozza di legge al parlamento, è malintesa», è «un ricatto» antidemocratico. Hazare aveva già  realizzato un simile sciopero della fame in aprile, anche allora molto mediatizzato, e aveva strappato al governo la promessa di presentare in parlamento una legge per creare un pubblico accusatore con ampi poteri di indagine per la corruzione che coinvolge politici, funzionari e magistrati. Il governo ha in effetti presentato questa legge, lo scorso giugno: una bozza criticata da più parti come troppo debole. Così l’anziano attivista ha deciso di tornare alla carica.
Anna Hazare è figura controversa. La sua ideologia non è facilmente definibile: riformatore sociale alla Gandhi (fa campagna ad esempio contro i pregiudizi di casta) ma anche assai conservatore (nel suo villaggio ha bandito tabacco, carne, televisione via cavo, secondo una visione spartana e molto ortodossa dell’hinduismo). Molti denunciano sue collusioni con l’estrema destra hindu – e questo spiega perché l’India liberal e progressista lo guarda con sospetto. In un video diffuso su YouTube dopo il suo arresto, Hazare chiama a una «seconda lotta per la libertà » – la prima fu quella contro i colonialisti britannici. E’ un fatto però che Hazare ha toccato un punto debole del governo Singh: il premier è reputato figura integerrima, personalmente, ma è accusato ormai anche nel suo schieramento di essere troppo debole, conciliante con gli alleati di governo, incapace di fermare la corruzione rampante: «Corrotto, repressivo e stupido», ha titolato ieri The Hindu, quotidiano progressista tra i più autorevoli in India.


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