Ma la Chiesa si tiene 3 miliardi di euro niente Ici e l’Ires scontata al 50%

by Sergio Segio | 20 Agosto 2011 8:17

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ROMA – Il più malizioso è Mario Staderini, segretario dei Radicali Italiani, una vita passata a fare le pulci ai conti del Vaticano: «Se l’evasione fiscale fosse recuperata, come giustamente chiede anche il cardinale Bagnasco, il gettito Irpef aumenterebbe al punto da raddoppiare la quota dell’8 per mille, con la Cei che incasserebbe due miliardi di euro anziché solo uno. A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina». Sarcasmo a parte, però, nel pieno della crisi, con la manovra che scontenta tanti, comincia a fare breccia il tema dei “privilegi della Chiesa”: esenzioni sull’Ici, esenzioni sull’Ires, 8 per mille «gonfiato» (sempre secondo i Radicali). Nelle stime più ottimistiche, tutto ciò vale 3 miliardi di euro. Una cifra che non viene minimamente scalfita dalla manovra che tra pochi giorni arriva in Parlamento. Certo, i soliti Radicali ci proveranno: è quasi pronto, infatti, un emendamento per «escludere qualsiasi esenzioni sull’Ici per gli immobili che svolgono attività  commerciali, indipendentemente da eventuali finalità  di culto».
Secondo i calcoli dell’Anci, il mancato gettito da Ici da parte di strutture legate alla Chiesa è di 400 milioni di euro. Una cifra alla quale andrebbe aggiunta un’area di sommerso non ancora stimata. Uno studio di qualche anno fa (condotto dal “Gruppo religiosi ed ecclesiastici”), ha stimato il patrimonio immobiliare della Santa Sede nel 20% dell’intero patrimonio immobiliare italiano. Seppure manca l’ufficialità , qualche cifra c’è: tra le proprietà  della Chiesa (circa 100mila immobili) ci sarebbero 8.779 scuole, 4.712 centri legati al settore della sanità  (entrambe attività  in concorrenza con pubblico e privati) e 26.300 strutture ecclesiastiche. Si procede per stime, insomma. Solo a Roma, un quinto della città  sarebbe nelle mani della Santa Sede: numerose case di cura, centinaia di scuole, 400 istituti di suore, 300 parrocchie, 200 chiese non parrocchiali, 200 case generalize (dove trovano ospitalità  molti turisti), 90 istituti religiosi, 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 20 case di riposo, 18 istituti di ricovero, 16 conventi, 13 oratori, 10 confraternite, 6 ospizi. Un elenco lunghissimo, solo nella capitale.
A Milano, invece, le scuole paritarie sono 450, le cliniche 120. Per non parlare della congregazione Propaganda Fide: proprietà  di gran pregio, patrimonio di 9 miliardi, finita nell’inchiesta sulla “cricca” tra Angelo Balducci e Diego Anemone. Per tutte queste strutture, semplicemente, l’Ici non si paga. L’Ires, invece, l’imposta sul reddito delle società , per gli enti ecclesiastici attivi nell’istruzione e nella sanità , è ridotto del 50%. Un risparmio stimato di circa un miliardo di euro (che andrebbe raddoppiato secondo i Radicali, tra sommerso e arretrati). La Cei risponde sdegnata dalle colonne dell’Avvenire: «Contro la Chiesa sono state dette bufale colossali. Come quella secondo cui basterebbe piazzare in un albergo una “cappellina” per poter dichiarare l’intero complesso adibito al culto e quindi non pagare l’Ici». Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni considera «demagogico» far pagare quest’imposta alla Chiesa». «Ma noi non vogliamo tassare i luoghi di culto – ribatte Staderini – solo le attività  commerciali».
E mentre in Italia si dibatte, in Europa è stata aperta una procedura d’infrazione da parte della commissione Ue per aiuti di Stato incompatibili con le norme sulla concorrenza. Dallo scorso settembre, Bruxelles sta approfondendo proprio il tema dei privilegi fiscali agli enti ecclesiastici. Le restano 8 mesi di tempo, per decidere se assolvere o condannare l’Italia. Intanto l’annullamento dell’esenzione (inserito nel decreto sul federalismo fiscale e che, a partire dal 2014, avrebbe incluso anche gli enti ecclesiastici nel pagamento dell’Imu) è stato sfilato all’ultimo momento. Così, l’indagine va avanti. E intanto i Radicali insistono, puntando anche sul contributo dell’8 per mille. Introdotto nel 1985 (all’epoca il ministro Tremonti faceva parte del pool di economisti che concepirono una quota dell’Irpef da destinare a usi “sociali o umanitari”, “religiosi o caritativi”) oggi fa incassare alla Cei circa un miliardo di euro. «Cinque volte gli introiti previsti 20 anni fa – ricorda Staderini – L’articolo 49 della legge istitutiva prevede che in caso di aumento del gettito, l’aliquota possa essere modificata. Noi chiediamo di dimezzarla». Il compito spetta ad una commissione presso Palazzo Chigi. «Da anni chiediamo di accedere agli atti – conclude Staderini – da sempre ce li negano: sono secretati».

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