«Vergogna, andate a lavorare» Scatta l’assedio ai capi padani

by Sergio Segio | 18 Agosto 2011 6:00

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CALALZO DI CADORE (Belluno) — «Andate a lavorareee. Andate affan…». Alla prima auto che al passaggio rovescia improperi, resta un dubbio: si rivolgerà  davvero agli ospiti dell’Hotel Ferrovia? Alla seconda, dubbi non ce ne sono più: «Vergognaaa. Andate a casaaa…». E dopo la seconda, arriva la terza e poi la quarta…
I tempi belli del dopo Ferragosto in Cadore sembrano lontani. Bossi e Calderoli non hanno potuto fare il comizio: cancellato. Si temeva non tanto l’arrivo dei poco temuti «sinistri» ma, di gran lunga peggio, dei leghisti. Leghisti arrabbiati con la Lega, padani che non capiscono più le scelte del movimento. In particolare, nel Bellunese, si temono molto i «leghisti di Feltre». Fatto sta che il segretario provinciale di Belluno, Diego Vello, ha cancellato tutto: «Dire che la situazione è rosea sarebbe una presa in giro». All’inizio prova a dar la colpa «a quelli del Pd che avevano organizzato una protesta», spiega che sono state «le forze dell’ordine a sconsigliarci di svolgere l’evento». Poi, lo ammette: «La realtà  autonomista sta raccogliendo parecchi consensi…». Da un certo punto di vista, la Lega in Veneto ha scherzato con il fuoco. Alle ultime provinciali di Treviso, per intercettare il voto dei leghisti più radicali, si è presentata una lista fiancheggiatrice dal nome suggestivo, «Razza Piave». Ora, quel tipo di istanze va dilagando. Scavalcando d’un balzo il Carroccio.
Con il problema economico non si scherza. Paolo Bottacin è costernato: «Siamo al si salvi chi può. Come in tutte le Province grandi con pochi abitanti, le entrate proprie non bastano». Il presidente della Provincia di Belluno fa i conti: «Fino a due anni fa, disponevamo di 44 milioni di entrate correnti: 10,5 andavano per il personale, 5 per pagare i mutui, 20 per la gestione dei 711 chilometri di strada quasi tutti di montagna, 2 per il riscaldamento delle scuole e uno per l’energia elettrica. Ci avanzavano 5,5 milioni con cui potevamo fare qualche politica. Ora siamo a 29 milioni. Mancano quasi dieci milioni per svolgere la sola attività  istituzionale. Ma se non faccio più spalare la neve dalle strade, che cosa succede?».
Ancora più amaro Vello. E certe parole fanno effetto in bocca a un ragazzo di poco più di vent’anni: «Siamo scontenti, siamo senza soldi, siamo destinati a morire. Se le cose vanno avanti così, scoppia la rivoluzione. Il nostro presidente della Provincia costa come un usciere di Palazzo Chigi. Eppure ci dicono che costiamo ancora troppo». Il problema, come raccontano tutti, è che il Bellunese versa nella casse dello Stato qualcosa come 800 milioni, con un picco di quasi un miliardo nel 2007.
Se per gli altri partiti è dura, per i militanti del Carroccio è devastante: «Tira una brutta aria» scuote la testa il Gino Mondin, consigliere provinciale leghista e proprietario dell’Hotel Ferrovia che ospita gli agosti cadorini dello stato maggiore padano. Lui, sulla cancellazione del comizio dei capi leghisti, era d’accordo: «Volevo dare alla gente la possibilità  di dialogare con i politici. Ma non c’erano più i presupposti: Bossi e Calderoli vengono qui per godersi qualche giorno di riposo. Sono disponibili a dialogare con la gente, ma non vengono di certo per prendere insulti». Insomma: il rischio era questo.
In serata, mentre si attende l’arrivo di Bossi (probabilmente a cena con Tremonti), si presentano gli «autonomisti». Sono loro ad aver raccolto 18 mila firme (su 210 mila bellunesi) per il referendum che punta alla creazione della regione Dolomiti insieme a Trentino e Alto Adige. Moreno Broccon, il loro leader, dice cose che qualsiasi leghista sottoscriverebbe senza pensarci: «Possibilità  di autodeterminazione, le nostre risorse impiegate per il nostro territorio, politiche vere per la montagna». Ma loro, leghisti non sono. O, almeno, non più: «La Lega ha ampiamente fallito — spiega —. È ormai chiaro a tutti che l’avventura federalista in Italia si chiude con questa manovra».

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