«Una Libia nuovamente unita»

by Sergio Segio | 5 Agosto 2011 7:03

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 BENGASI.«Mio padre combatteva contro Benito Mussolini e Rodolfo Graziani. Oggi questi ragazzi combattono contro Muammar Gheddafi e la sua dittatura. In 80 anni è cambiato il tiranno, ma non il bisogno di libertà  del popolo libico».

Mohammad Omar al-Mukhtar di dittature se ne intende. Dall’alto dei suoi quasi 90 anni riesce a ricordare sia quella fascista, che gli portò via un padre, sia quella attuale di Gheddafi, che sta falcidiando i giovani libici.
Ci accoglie nella sua casa di Bengasi, una villetta a due piani, confortevole ma spartana per essere la dimora del figlio di Omar al-Mukhtar, uno dei simboli più alti della resistenza anti-coloniale in Africa, un eroe per la Libia e per l’intero mondo arabo. Anche oggi. Il volto corrucciato del beduino che combatté gli italiani per tutti gli anni ’10 e ’20 del secolo scorso, campeggia infatti sulle bandiere tricolori dei ribelli, quelle di re Idris (solo un caso?), che Gheddafi aveva sostituito 42 anni fa, con il verde monocolore della Jamairiya. Del resto lo stesso Raìs portava la foto del «leone del deserto» ostentatamente appesa alla sua eccentrica divisa, quando arrivò in visita ufficiale a Roma nel giugno del 2009, accolto dall’abbraccio del premier Berlusconi e dal sorriso compiaciuto del ministro degli esteri Franco Frattini. In quell’occasione c’era anche lui, Mohammad Omar. Un quadretto che, a distanza di soli due anni, sembra antico almeno quanto le foto in bianco e nero di Mukhtar, che addobbano le pareti. Oggi Berlusconi confida di temere che il suo ex amico voglia fargli la pelle, Frattini continua a reclamare la fine del regime di Gheddafi e il Raìs vive le ore più difficile del suo lungo dominio.
Mohammad Omar di vita ne ha vissuta troppa per scomporsi. Attende la vittoria della «rivoluzione del 17 febbraio». Impaziente, come tutti (o quasi) qui in Cirenaica. Anche perché il 16 settembre si avvicina. Quel giorno a Soluch, una cinquantina di chilometri a sud di Bengasi, verranno ricordati gli 80 anni dalla morte di suo padre, lo «sceicco dei martiri». Impiccato dagli italiani, per ordine del maresciallo Graziani. E da allora consegnato al mito.
Dunque shayck, crede che celebrerà  quell’anniversario in una Libia nuovamente unita?
Insh’allah. Lo speriamo. Io credo che ci vorrà  ancora del tempo prima di raggiungere la vittoria. Ma sono convinto che alla fine questa rivoluzione trionferà . La rivoluzione appartiene ai giovani. Dopo il 17 febbraio per me è stato automatico trovarmi dalla loro parte. Questi ragazzi stanno lottando per una Libia finalmente libera. È come se fossero tutti miei figli. Combattono senza ricevere in cambio denaro, in poche ore imparano a usare un fucile e si precipitano al fronte. C’è chi parla di guerra civile. La realtà  è che vogliono un paese unito, da Ras Jdir a Musaid, con Tripoli unica capitale. Rivendicano un paese finalmente democratico, con media liberi e dove sia possibile esprimere la propria opinione, senza temere la repressione del regime.
Dall’altra parte, però, Gheddafi non sembra voler mollare…
Gheddafi è un pazzo, ha commesso dei crimini efferati e ha causato un sacco di danni alla Libia. Il popolo non lo vuole più, ne ha abbastanza, dopo 42 anni di regime. La storia di mio padre, del resto, lo insegna. Si può perdere una battaglia, ma alla fine la Libia ritrova sempre la sua libertà . L’ha ritrovata dopo la colonizzazione italiana. La riavrà  anche questa volta.
Già , ma oggi quale sentimento nutre nei confronti dell’Italia e degli italiani?
L’Italia oggi è un paese amico. Sono passati ormai 70 anni da quegli eventi spiacevoli. Li abbiamo archiviati, ora fanno parte della nostra storia, che in ogni caso è una storia comune. Non abbiamo problemi con gli italiani di oggi. E devo dirle che mi piace molto il vostro paese. Io stesso sono stato a Roma (durante la visita del 2009, ndr). Ho incontrato il vostro premier, Silvio Berlusconi. Mi ha detto di essere profondamente dispiaciuto per la guerra coloniale. Mi ha accolto con simpatia, baciandomi la mano.
Lei sa che il premier italiano è avvezzo ai baciamano. Lo fece anche a Gheddafi…
Il vecchio rapporto tra Berlusconi e Gheddafi non può costituire un problema. Ora il dato di fatto è che l’Italia supporta il nostro governo di transizione. E dunque supporta la rivoluzione del 17 febbraio, che è una rivoluzione contro Gheddafi. Silvio Berlusconi mi ha dimostrato più volte un sentimento di vicinanza al nostro popolo, che reputo genuino. Anche il ministro Frattini è un uomo che stimo. La sua forte presa di posizione contro il regime di Gheddafi, sin dall’inizio della rivolta, è stata molto apprezzata dal popolo libico.
In conclusione, chi era suo padre, Omar al-Mukhtar?
Mio padre era un combattente, ma soprattutto era un libico che voleva vivere nel suo paese, in libertà . Era nato in un piccolo villaggio qui in Cirenaica e aveva avversato l’occupazione italiana sin dall’inizio. Io devo confessare che non ricordo molto di quel periodo, avevo solo pochi anni, le mie memorie sono labili. Ricordo però il periodo successivo alla morte di mio padre. La colonizzazione italiana, che durò per altri dieci anni e poi, finalmente, la libertà , sotto re Idris. La sua bandiera è la stessa che oggi sventolano questi ragazzi. E l’effigie di mio padre è ovunque un richiamo alla libertà , oggi più che mai.
Che cosa penserebbe suo padre di questa situazione, se fosse vivo oggi?
Se Omar al-Mukhtar fosse vivo in quest’epoca, certamente Gheddafi non sarebbe rimasto al potere per 42 anni. Mio padre avrebbe guidato in prima persona la rivolta contro l’iniquità  di questo regime. Era un uomo che non tollerava l’ingiustizia. Soprattutto per questo si ribellò al dominio italiano, sin dal 1912.
Ma credo che sarebbe fiero di tutti questi ragazzi che ogni giorno stanno morendo per reclamare una Libia libera e democratica. Io penso che idealmente, il suo spirito sia a capo anche di questa rivoluzione. Il suo esempio e la sua storia saranno importanti per la nuova Libia del futuro.

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