by Sergio Segio | 5 Agosto 2011 7:37
La storia del sindacato è fatta di compromessi, mediazioni, accordi, vittorie e sconfitte. Ma c’è qualcosa che non può essere messo sul tavolo negoziale ed è la dignità . Quel che più ha ferito una parte non minoritaria del sindacato guidato da Susanna Camusso è stato vedere, ieri, alla conferenza stampa successiva all’incontro delle parti sociali con il governo, Emma Marcegaglia che a nome di tutti, banchieri industriali e sindacati, leggeva un documento congiunto. Persino a prescindere dal contenuto, pessimo, del documento, l’idea di farsi rappresentare dalla Confindustria non è digeribile. Ci sono gli indignati, i delusi e chi ha il mal di mare. Qualcuno reagisce con l’invettiva annunciando battaglia politica, altri mugugnano, moltissimi tacciono e si chiedono tra loro che fine abbiano fatto democrazia e collegialità dentro la Cgil.
«Mi dichiaro indignato. Se tutti sono d’accordo su quei punti, dai banchieri agli operai di Mirafiori, organizziamo una grande manifestazione a settembre a piazza San Giovanni con comizio finale della Marcegaglia. Facciamola presidente del consiglio e ministro dell’economia Marchionne». È davvero indignato Gianni Rinaldini, portavoce dell’area programmatica «La Cgil che vogliamo», minoranza nella Confederazione e maggioranza nella Fiom: «Siamo a una gestione proprietaria dell’organizzazione dove in 2 o 3 decidono a nome di tutti su scelte politiche e sindacali così importanti. Quei sei punti sono inaccettabili, basti pensare alla questione fiscale per capire che, attraverso la defiscalizzazione del salario di secondo livello si decide la cancellazione dei contratti collettivi di lavoro. Quando mai è stata questa la linea della Cgil?».
Un patto «contro natura», per Rinaldini: «Invece di organizzare la difesa contro il massacro sociale in atto qui e in Europa, la Cgil non trova di meglio che partecipare a un’ammucchiata tra soggetti che hanno interessi e strategie contrapposte, e porta in pegno ai suoi compari i lavoratori dipendenti, i pensionati e i giovani. Il gruppo dirigente deve sapere che il disagio sociale può esprimersi in forme diverse, se la Cgil sceglie di non essere più un riferimento». Parole dure, coraggiose all’interno di un sindacato che attraversa una fase di centralizzazione che tende a negare ogni forma di dialettica e di dissenso. Con la conseguenza che i dirigenti disposti a dire pubblicamente quel che pensano del «patto» sono decisamente pochi, e non perché siamo in agosto. Ma qualcosa si muove e non tutti, anche tra chi è organicamente nella maggioranza camussiana, è disposto ad apporre la sua firma in calce al «documento comune». Nei prossimi giorni il dissenso si manifesterà , anche al vertice delle categorie e della segreteria nazionale. Anzi, un primo segnale è arrivato proprio da un segretario confederale: Nicola Nicolosi, coordinatore dell’area interna alla maggioranza «Lavoro e società », boccia senza riserve il documento i cui contenuti «sono l’opposto di quello che servirebbe al paese» e ricorda che la linea della Cgil si muoveva su ben diverse parole d’ordine: patrimoniale e Tobin tax.
La segretaria generale dello Spi-Cgil, il sindacato dei pensionati che raccoglie più di metà degli iscritti alla confederazione, ha un’opinione precisa sul percorso avviato dalla Camusso con l’accordo con le controparti e sei punti presentati a Berlusconi: «Nella storia della Cgil – dice Carla Cantone – c’è sempre stata un’assunzione di responsabilità nei momenti difficili, per il bene del paese. Ora però basta. Non è tollerabile, con la crisi che impazza, le responsabilità del governo e le cose dette da Berlusconi alle Camere, che ci si vengano a chiedere ulteriori sacrifici dei lavoratori, dei giovani e dei pensionati. Neanche se a chiedercelo sono le opposizioni politiche o la Confindustria».
Chi non ha difficoltà a dire la sua è Giorgio Cremaschi della Rete 28 Aprile: Susanna Camusso «è fuori da qualsiasi mandato» e «sta portando la Cgil al disastro».
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