Lo sciopero dell’oro rosso

by Sergio Segio | 3 Agosto 2011 7:32

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 Lo sciopero dei giovani raccoglitori di pomodoro impiegati a basso costo, spesso in nero e in condizioni difficili nei campi salentini, alla mercé di caporali senza scrupoli, è arrivato ieri al suo quarto giorno consecutivo. L’ultima assemblea autogestita convocata nella masseria Boncuri di Nardò (gestita dai volontari di Finis Terrae e della Brigata di solidarietà  attiva), presso la quale sorge la tendopoli che ospita i braccianti, così ha deciso. Compatti i lavoratori, che sono almeno 350 e arrivano per lo più dall’Africa subsahariana. Si mobilitano per ottenere il rispetto dei loro diritti, anche in quei campi di lavoro evidentemente violati. Prima quei braccianti avevano, nelle stesse condizioni e sempre in quella zona, raccolto angurie. Con la crisi del comparto, che si è acuita nelle settimane scorse, l’80% del prodotto è rimasto nei campi, e loro hanno perso il lavoro.

Ma veniamo ai motivi della protesta, che sabato scorso, in un moto spontaneo, si è concretizzata, per la prima volta, alle porte della masseria Boncuri. Una cinquantina di braccianti, di ritorno a piedi dal campo, si sono fermati sulla provinciale Lecce-Nardò, a ridosso della struttura, bloccando il traffico. Se ne stavano lì, a cercare di capire come ottenere ciò che gli spetta. A valutare una strada praticabile verso il riconoscimento dei loro diritti di persone e di lavoratori. Soltanto poche ore dopo avrebbero appreso la notizia che ha ulteriormente infuocato la protesta: la morte di un 34enne tunisino, il cui corpo è stato ritrovato in una delle tende abitate dai lavoratori, in prossimità  della masseria. Deceduto, dice il primo referto medico, per cause naturali.
Il presidio è stato sgomberato dopo mezz’ora dalle forze di polizia, ma i braccianti nei campi non sono tornati. Si sono, anzi, riuniti in masseria per creare una loro delegazione e incaricarla di trattare con i produttori. Quell’assemblea si è subito allargata agli altri lavoratori tornati dai campi. Vengono pagati a cottimo, 3 euro e 50 a cassone, e sanno che esiste un contratto provinciale che stabilisce, invece, una retribuzione oraria di 5 euro e 95 centesimi, che sono 38 euro e 49 centesimi a giornata. Il cottimo che viene loro corrisposto è dunque di gran lunga inferiore alla soglia di legalità  fissata dal contratto provinciale. Non solo: da quella cifra i caporali trattengono una «percentuale» variabile per il trasporto al campo e ritorno, e per la mediazione «offerta».
Negli ultimi due giorni ci sono state appena quindici defezioni tra gli scioperanti, perché alla masseria ormai il cibo scarseggia e loro non sono in condizioni di comprarne. La situazione tuttavia resta stagnante. Produttori e istituzioni tacciono. La Cgil, che a livello nazionale, con la Flai, preme per l’istituzione del reato penale di caporalato, oggi liquidato con una flebile sanzione amministrativa (50 euro a lavoratore, se il caporale è colto in flagranza) chiede alla prefettura di Lecce la convocazione del Consiglio territoriale per l’immigrazione. E sollecita l’apertura di un tavolo di confronto con aziende, Confagricoltura e Coldiretti. Proprio quest’ultima giorni fa ha sostenuto che da controlli effettuati sulle aziende associate, i rapporti di lavoro instaurati con gli stagionali risultano regolari. E che alcune di esse avrebbero addirittura istituito «premi» per i braccianti più impegnati, pagati più di quanto previsto da contratto. Ma c’è tanto lavoro nero: sono sacche profonde. Su questo un primo dato positivo lo offre l’associazione Finis Terrae, che ha lanciato la campagna Ingaggiami contro il lavoro nero. «Proviamo a sensibilizzare alla legalità , e non solo i lavoratori», precisa Gianluca Nigro, portavoce dell’associazione. «L’obiettivo è produrre un humus culturale diverso, che favorisca una seria politica di contrasto al lavoro nero». I braccianti che si trovano alla masseria Boncuri «ora sono informati sui loro diritti: contrattuali, medici e legali». E lo scorso anno, continua Nigro, «gli ingaggi emersi dal nero sono stati 200, quest’anno 120, 80 tra raccoglitori di angurie e 40 tra quelli di pomodori». In questo modo le aziende che «assumono» sono visibili. «Resta però un forte elemento di falsificazione sulle “assunzioni”: spesso il lavoratore viene ingaggiato, ma non viene neppure portato al lavoro».

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