«Mi autosospendo dal partito» E Bersani: bene
MILANO — Non vuole creare «problemi e imbarazzi» al suo partito. Per questo Filippo Penati ha annunciato ieri che si autosospende dal Pd e che lascia il gruppo consiliare in Regione Lombardia. Ma i suoi non sembrano soddisfatti e da più parti viene invocata la rinuncia alla prescrizione, qualora sia legalmente possibile. Il gip monzese Anna Magelli, che ha ordinato l’arresto per l’assessore Pasqualino Di Leva e per l’architetto del Comune di Sesto San Giovanni Marco Magni, al termine dell’inchiesta sulle tangenti per l’area ex Falck, non è intervenuta allo stesso modo nei confronti di Penati perché l’accusa di corruzione che gli viene mossa è reato prescritto. Il pm monzese Walter Mapelli, ieri, ha presentato ricorso contro l’ordinanza con la quale il gip ha negato l’arresto di Penati e del suo ex capo di gabinetto Giordano Vimercati. La richiesta di arresto si sposta ora sul tavolo dei giudici del tribunale del Riesame di Milano.
La Procura monzese contesta la trasformazione operata dal gip del reato di concussione in corruzione, una modifica che, pur riconoscendo come «gravissime» le condotte di Penati, gli permette di restare a piede libero. Il pm ribadisce che il costruttore Giuseppe Pasini subì le pressioni del sindaco Penati: per l’accusa si trattò quindi di concussione continuata da parte del gruppo dirigente sestese. Gli inquirenti insistono dunque per ottenere l’arresto di Penati e di Vimercati, sospettati tra l’altro di aver incassato una tangente milionaria in relazione all’acquisto, da parte della Provincia di Milano, del 15 per cento delle azioni della Milano-Serravalle: vicenda su cui la Procura ha aperto un’inchiesta parallela.
Penati insiste nel ribadire la sua estraneità ai fatti contestati, «ma visti gli sviluppi intendo scindere nettamente la mia vicenda personale dalle questioni politiche per potermi difendere a tutto campo». Plaude alla scelta il segretario Pierluigi Bersani: «Chiunque sia indagato in questioni di questo genere è giusto che faccia un passo indietro. Penati lo ha fatto e ha fatto bene». Più dura la presidente del partito, Rosy Bindi: «È apprezzabile la sua decisione di autosospendersi. Ma le prescrizioni non sono assoluzioni: Penati troverà il modo di fare piena chiarezza». Come? «Se fosse tecnicamente possibile, rinunciando alla prescrizione. Questo dovrebbe spontaneamente fare chi ha svolto funzioni di rappresentanza politica e si proclama innocente», taglia corto l’assessore ed ex coordinatore cittadino del Pd, Pierfrancesco Majorino.
Qualcuno a Milano evoca l’esempio del sindaco Giuliano Pisapia che in altri tempi rinunciò al salvacondotto dell’amnistia per dimostrare la propria innocenza rispetto all’accusa di partecipazione a banda armata e concorso morale nel furto di un furgone (era il 1978). «Se Penati vuole bene alla sinistra — incalza il presidente del Consiglio comunale, Basilio Rizzo — dovrebbe dimostrare la propria innocenza nelle sedi opportune. Eviteremmo di essere accomunati ai comportamenti di esponenti politici dell’altro schieramento, che abbiamo sempre stigmatizzato».
L’onorevole milanese pd Emanuele Fiano ammette che «le notizie che riguardano il caso Penati sono gravi a prescindere dagli esiti processuali che la vicenda giudiziaria avrà . Ci sono questioni che riguardano il comportamento dei politici che vengono prima delle sentenze dei giudici e che richiamano l’etica della responsabilità di ciascuno di noi». Polemico, infine, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: «Fa pena e rabbia leggere di Penati. Si è autosospeso dal partito, si è dimesso dalla carica di vicepresidente del consiglio regionale e farebbe bene a dimettersi anche da consigliere».
Quanto alle ombre che gravano sul Pd, a proposito della possibilità che le tangenti siano arrivate anche al partito, il consigliere regionale Franco Mirabelli, segretario lombardo all’epoca dei fatti contestati, è categorico: «Difendiamoci compatti dagli attacchi alla nostra onorabilità . Non abbiamo mai beneficiato di finanziamenti illeciti».
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