«La crisi? Il game over non si vede» Tremonti rilancia i «suoi» eurobond

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RIMINI — Un appello all’Europa perché capisca che «sta arrivando il momento degli eurobond». Una strigliata alla Germania perché non faccia come Faust: «Vendendo l’anima per l’export perfetto». E un monito: «Non c’è ancora il game over della crisi. Siamo ancora dentro un videogame dove i mostri si avvicendano», guai a non riflettere sugli «errori» compiuti, come quello di salvare, assieme alle banche, gli speculatori. Si chiude così il Meeting di Rimini 2011, con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che, citando Benedetto XVI e don Giussani, scalda la platea che lo aveva accolto tra gli applausi ma anche con qualche fischio.
In una giornata complessa, scossa dalle tensioni sulla manovra che gli hanno procurato attacchi anche dal Pdl, Tremonti, che in privato si sarebbe mostrato «deluso e sconfortato», dal palco ha evitato riferimenti alle misure in discussione. Affrontate invece, riservatamente, con il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, con il direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera e con Pier Luigi Bersani.
In un excursus da Waterloo ai videogame, Tremonti è tornato a invocare l’emissione di eurobond. Ha ricordato che il copyright è francese: dell’ex presidente della Commissione europea, Jacques Delors. Poi ripresi nel 2003 dalla presidenza italiana, ora, dice, avrebbero senso «sia per gestire le emergenze del debito che per finanziare fondi nella prospettiva della crescita» di un’Europa che deve però ritrovare le ragioni del suo stare insieme. Poi la stoccata ad Angela Merkel: «Sento dire che l’idea non va perché conviene all’Italia e alla Spagna, ma non conviene alla Germania. Allora perché il governo inglese è favorevole?». Rimarcando la grossa entità  delle quote di export verso gli altri Paesi europei, paragonabili a quelle con la Cina, Tremonti invita la Germania a non vendere l’anima europea. Perché, «se si va avanti su un crinale pericoloso come qualcuno vuole fare», si rischia di passare dall’Inno alla gioia all’Incompiuta.
Poi va oltre gli appelli. Denuncia gli «errori» compiuti finora. A partire dalla sottovalutazione della crisi. Paragona i «molti governanti» che hanno pensato che la crisi fosse già  passata al re di Francia: gli dissero che la presa della Bastiglia era una rivoluzione, ma continuò a crederla una rivolta e «per questo gli tagliarono la testa».
Infine l’affondo contro le «banche che giocano d’azzardo ai casinò della finanza» e i loro sistemi di vigilanza che non hanno funzionato. Roosevelt, ricorda Tremonti «non salvò le banche, ma le famiglie e le imprese». Invece le nostre banche salvate dal denaro pubblico «essendo sistemiche contenevano la speculazione». La «medicina è diventata così il male in sé». «Erano i banchieri che, essendo materia complicata, avrebbero dovuto essi stessi proporre le regole ai governi — accusa — ma non se n’è vista una seria».


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