L’immigrazione raccontata a Locarno
Al 64esimo Festival del film di Locarno ricorre spesso il tema dello straniero irregolare in Europa. Immigrati, richiedenti asilo o profughi di guerra cui è stato negato lo status di rifugiati: sono diversi i film che trattano il dramma tutto contemporaneo della presenza inevitabile, e tuttavia spesso illegale, di persone alla ricerca di una vita in alternativa alla miseria, alla guerra o alla persecuzione. Colpisce la frequenza con cui la tematica attraversa a Locarno diversi generi, dal documentario di inchiesta sociale, al film di finzione sentimentale. Oramai, la figura dello straniero in fuga dalla guerra e dalla povertà è stabilmente entrata a far parte dell’assetto sociale europeo, fino a divenire una vera e propria figura tipica della contemporaneità . E un Festival come quello ticinese, tradizionalmente progressista e attento alle problematiche sociali, non poteva non renderne conto.
Il tema irrompe con la proiezione del documentario svizzero Vol spécial, del regista Fernand Melgar, già vincitore del Pardo d’oro Cineasti del presente a Locarno nel 2008 con il film La Fortresse. La telecamera riesce ad entrare nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, nel cantone di Ginevra, dove un gruppo di uomini si è visto opporre il diniego alla richiesta di asilo. Dovranno essere rimpatriati, ma l’attesa nel carcere può durare fino a 24 mesi. Non importa se queste persone vivono da anni in Svizzera, se lì hanno lavorato pagando le tasse, messo su una famiglia. Per la legge elvetica sono irregolari e in quanto tali saranno imbarcati su un volo speciale che li riporterà nel Paese d’origine, qualunque esso sia. Tra le mura del carcere – niente a che vedere con i nostri Cie per le condizioni igienico-sanitarie e il trattamento – scattano meccanismi psicologici che inducono i detenuti ad accettare passivamente il proprio destino. Stride la contraddizione tra l’ipocrita cortesia dei secondini e la brutalità dei provvedimenti che loro stessi attuano. Nel Paese che ha riconosciuto perfino ai cani il diritto ad essere rappresentati da un avvocato, l’impietosa applicazione delle regole porta inevitabilmente alla negazione della minima dignità umana.
In Francia, un’altra “patria dei diritti umani”, chi si è visto rifiutare l’asilo politico è costretto ad una vita di sotterfugi. È il caso, in Low life, di Hussain, un giovane poeta afgano sans papier, costretto dalla sua irregolarità a vivere in un limbo di noia e prigionia che lo porterà a lasciare la donna che ama. Un estremo atto d’amore perché, per una francese, amare uno straniero irregolare significa dover condividere la sua battaglia, macchiandosi di un grave reato. I registi Nicolas Klotz e Elizabeth Perceval ambientano la vicenda in una Lione buia e indifferente, dove un gruppo di giovani attivisti si misura con le ingiustizie di un mondo che pare stregato.
Non basta però essere regolari per vedere i problemi risolversi. Il regista tedesco Christian Stahl ha scelto di seguire con la cinepresa per sei anni le vicissitudini di Yehya, un ragazzino di origine palestinese soprannominato il “boss della Sonnenallee”. A Neukà¶lln, il quartiere di Berlino dove egli vive, Yahya capeggia un gruppo di giovani arabi di seconda generazione. All’ennesima aggressione, il quindicenne viene recluso per tre anni. Gangsterlà¤ufer, il documentario che tratteggia l’esistenza di questo giovane figlio di rifugiati palestinesi, denuncia la politica di asilo tedesca. Pare che, grazie alla diffusione di questo film, il Senato di Berlino abbia intrapreso delle iniziative per consentire al ragazzo di frequentare la scuola, cosa che non gli era più stata permessa dopo il periodo in carcere.
Ancora, chi vive ai margini delle società europee ispira i registi Massimiliano e Gianluca De Serio, che nel loro film Sette opere di misericordia scelgono di raccontare la storia di Luminita, moldava che vive in una baraccopoli della periferia torinese. Una vita di espedienti e di disperazione condotta nella più assoluta indifferenza della gente. Un immigrato algerino è invece il protagonista di Bachir Lazhar, del canadese Philippe Falardeau: viene chiamato a sostituire un’insegnante elementare morta tragicamente, ma da un momento all’altro potrebbe essere espulso dal Paese.
Vite solitarie di stranieri irregolari popolano così le storie di Locarno. Dalla celebre Piazza Grande della cittadina svizzera si leva una forte critica alle politiche restrittive in materia di immigrazione dei governi europei. Si registrano le contraddizioni e si denuncia l’indifferenza. Il rifugiato di Locarno accetta però la sua condizione senza opporvisi, il disagio e la disperazione sono tutti interiorizzati. Nella realtà , sono invece all’ordine del giorno nei Centri di espulsione italiani, ad esempio, i casi di tentati suicidi o di reazioni violente. Le rivolte in Gran Bretagna incanalano in parte anche l’emarginazione delle minoranze etniche. La disperazione e il senso di esclusione si sono già tradotti in rabbiosa azione, e spesso è purtroppo la violenza la strada maestra per far parlare di sé. Da questo punto di vista, la realtà ha già superato la finzione.
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