«Il figlio di Gheddafi ucciso in un raid Nato»
Il giallo sulla morte del figlio minore del Colonnello Gheddafi, il 28enne Khamis, è la riprova dello stallo militare in Libia: in mancanza di progressi reali sul campo di battaglia, si combatte a colpi di propaganda e guerra psicologica. Ieri mattina è un portavoce dei ribelli a Bengasi, Mohammed al Rajali, a sostenere pubblicamente che il giovane Gheddafi sarebbe morto assieme a 32 miliziani governativi sotto le bombe lanciate nella notte dai jet della Nato contro un «centro di comando» nella cittadina di Zlitan. «Sono notizie che giungono dalla nostra intelligence nella regione» specifica.
Poco più tardi un altro responsabile dell’ufficio stampa dei ribelli, Essam Gheriani, ripete per telefono al Corriere che effettivamente «Khamis potrebbe essere morto e sarebbe una grande vittoria per la rivoluzione» . Pure, aggiunge, «la notizia non è ancora confermata in modo certo» . Spiega: «Siamo in tempo di Ramadan, tutto funziona più lentamente del normale» .
Poco dopo dal comando Nato giunge conferma dei raid su Zlitan, contro un deposito di munizioni e la locale centrale di polizia. «Siamo consapevoli dell’annuncio dei ribelli riguardo a Khamis. Ma non siamo in grado di confermarlo» aggiungono tuttavia da Bruxelles. Se fosse vero ciò costituirebbe un importante successo per le forze della rivoluzione del 17 febbraio. Khamis è il più coinvolto nelle cose militari dei figli del Colonnello. Comanda la celebre Brigata 32, nota anche come «Brigata Khamis» , il fiore all’occhiello tra le forze governative. Quasi 4.000 uomini delle tribù più fedeli, armati con il meglio degli arsenali nazionali, mobilitati per gli addestramenti mensili anche in tempi di pace: negli ultimi mesi sono stati impegnati via via nel braccio di ferro per Misurata, nelle cittadine e villaggi a ovest e sud della capitale e ora a Zlitan, 140 chilometri a est di Tripoli, considerata città chiave per il controllo della litoranea e le roccaforti della dittatura.
La situazione si fa più confusa però nel primo pomeriggio, quando da Tripoli giunge una netta smentita. «Khamis è vivo e vegeto. Sta benissimo. Le voci della sua morte sono solo menzogne» sostiene tra gli altri il viceministro degli Esteri, Khaled Kaim. Un annuncio che va preso con attenzione. Già in marzo i ribelli sbandierarono trionfanti la notizia della fine di Khamis nei bunker devastati dai missili Nato a Bab al Azizya, il quartier generale di Gheddafi. Ma Tripoli smentì quasi subito. A fine aprile, quando le bombe Nato colpirono la villa superblindata nel lussuoso quartiere di Ganghoura di un altro figlio del Colonnello, Saif-al-Arab, il regime inizialmente si chiuse in un enigmatico silenzio. Corse voce allora che addirittura anche lo stesso Gheddafi fosse morto nelle esplosioni o comunque fosse gravemente ferito.
Agli inizi di maggio però fu confermata solo la morte di Saif-al-Arab, assieme a tre nipotini.
Oggi viene spontaneo collegare i comunicati diffusi da Bengasi con il momento di grave difficoltà in cui versa il governo transitorio dei ribelli dopo l’assassinio il 28 luglio del suo capo di stato maggiore, generale Abdel Fattah Younes, sembra per mano delle fazioni che lo consideravano un traditore. Tripoli non ha esitato a puntare il dito contro le difficoltà interne e le divisioni tra i ribelli. E tutto ciò mentre a Zlitan i combattimenti segnano il passo, il fronte di Brega è immobile da almeno tre mesi e nella zone delle montagne di Nafusa le avanzate verso Tripoli sono congelate.
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