«Gli astrologi della tripla A che ci hanno regalato la crisi»

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Bisogna dire la verità  fino in fondo, su Standard and Poor’s. Lasciamo perdere quel loro erroruccio di aritmetica da un paio di trilioni di dollari. L’idea che questi buffoni si reputano in grado di valutare la credibilità  finanziaria degli Stati Uniti appare semplicemente aberrante.
Tanto per cominciare, costoro sono gli stessi individui che ci hanno regalato la crisi finanziaria, classificando come titoli a tripla A i mutui subprime spazzatura. E lo hanno fatto perché erano pagati in veste di consulenti dagli stessi malandrini della finanza che avevano inventato le obbligazioni.
I dirigenti delle società  di rating — non «agenzie», perché qui si tratta di società  private, a scopo di lucro, svincolate da qualsiasi normativa, e non di entità  pubbliche — meritano di finire dietro le sbarre.
Sono riusciti a sottrarsi a qualsiasi serio tentativo di imporre loro una regolamentazione grazie alla legge Dodd-Frank. E oggi continuano a gestire i loro loschi affari come prima, quasi che lo scandalo dei mutui subprime non fosse mai accaduto. Le regole per una normativa minima invocata dalla Dodd-Frank aspettano ancora di essere scritte.
E a questi ladri vogliamo affidare l’incarico di stimare la sicurezza dei buoni del Tesoro americano? I mercati si dimostrano ancor più irrazionali se prestano la benché minima fede al loro declassamento.
Secondo punto: anche il loro tempismo appare sospetto. Se S&P’s aveva intenzione di declassare il rating del governo, il momento migliore per farlo era quando i repubblicani paventavano addirittura il default. Ma S&P’s ha preferito aspettare che Obama venisse ricattato e costretto ad accettare un piano di austerità  per assicurarsi che il debito venisse onorato.
Allora, perché declassare il paese proprio adesso, quando è stato assicurato il pagamento del debito? Forse per consentire ai repubblicani di farla franca? Questo verdetto fa schiumare rabbia ai democratici, mentre i repubblicani se la ridono allegramente.
Terzo punto: S&P’s si avventura ben oltre il suo territorio di competenza quando sostiene che il declassamento rispecchia il clima di incertezza politica del Paese. Le agenzie di rating sono state create per aiutare gli investitori a valutare titoli relativamente oscuri che appaiono difficili da decifrare ai singoli individui. La Acme Cement sarà  una ditta in buona salute? La Madison County Iowa riesce a raccogliere abbastanza tasse per onorare i suoi titoli municipali? E che dire dell’Azerbaigian?
Ma l’indebitamento degli Stati Uniti appartiene alla sfera pubblica, e il grande gioco di «chi ha paura del fallimento» si è svolto sotto gli occhi di tutti. Malgrado tutto, i mercati finanziari fanno a gara a rastrellare titoli del tesoro americano a dieci anni, seppure a un tasso di interesse del 2,4%, al minimo storico. Credete forse che gli investitori siano pronti a prestare i loro sudati soldi allo zio Sam in cambio di titoli a dieci anni a un miserevole 2,4% di interesse se temono il più lontano rischio di default?
E allora, quali sarebbero le straordinarie ed esoteriche intuizioni di Standard and Poor’s di cui i mercati sono rimasti all’oscuro? Non ne ho la più pallida idea.
Il loro operato è talmente scientifico che le tre principali società  di rating non riescono nemmeno a mettersi d’accordo per varare un giudizio sugli Stati Uniti. Che si dedicassero all’astrologia.
Questa storia sconfortante appartiene anch’essa al ben più vasto quadro di una degenerazione del sistema di regolamentazione dei mercati finanziari mondiali. Grecia, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo si ritrovano oggi sotto attacco in parte perché grandi hedge fund puntano a realizzare ingenti guadagni, con l’impiego di CDS non soggetti ad alcuna normativa (e spesso si tratta di swap «nudi», sprovvisti cioè di qualsiasi riserva), scommettendo sul fallimento di questi Paesi.
Occorre imporre nuove regole a questi mercati, e l’Unione Europea e la sua Banca Centrale dovranno rifinanziare questi debiti a un prezzo sostenibile.
Per quanto riguarda le società  di rating, occorre spogliarle al più presto del loro prestigio quasi ufficiale, ed estrometterle dal mercato a favore di entità  pubbliche o senza fini di lucro. Le agenzie di rating dovrebbero essere completamente trasparenti per quel che riguarda i modelli adottati, e senza conflitti di interessi nelle modalità  di retribuzione.
Siamo stati in grado di finanziare un debito nazionale di gran lunga superiore, in rapporto al Pil, durante la Seconda guerra mondiale. Allora la Federal Reserve e il Tesoro collaborarono per far sì che i titoli venissero venduti a tassi di interesse bassissimi. Per spirito patriottico, gli americani acquistarono i buoni del tesoro in tempo di guerra, e i ricchi pagarono imposte aggiuntive fino al 91 per cento del loro reddito in modo che il costo della guerra fosse finanziato dalle entrate fiscali anziché dai prestiti.
Così agisce un governo serio quando la nazione deve affrontare una crisi. Ma allora non c’erano le società  di rating pronte a intromettersi per mandare tutto all’aria.
(*Robert Kuttner è co-editore di «The American Prospect» e membro di Demos. Il suo ultimo libro si intitola «Una presidenza in pericolo»).
Traduzione di Rita Baldassarre


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