L’EVASIVA LOTTA ALL’EVASIONE

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Di là  non si possono toccare gli evasori che pagando uno zuccherino avevano riportato i capitali (anche sporchi) in Italia o i vitalizi parlamentari perché in entrambi i casi «lo Stato tradirebbe la parola data». Di qua lo stesso Stato può rimangiarsi altri impegni. Come quello preso con larghe fasce di cittadini che anche recentemente (perfino su pressione di campagne governative!) avevano riscattato, spesso a caro prezzo, gli anni del servizio militare, della laurea o della specializzazione (fino a 12 anni, in certi settori della medicina) e che si ritrovano oggi con la pensione che s’allontana di colpo di anni e anni. Una scelta che, ammesso che non venga rinnegata domani come tante altre (è già  in corso uno scaricabarile) è platealmente punitiva verso un elettorato considerato, a torto o a ragione, ostile.
E il famoso «contributo di solidarietà » evaporato per tutti tranne i dipendenti pubblici di fascia superiore? Varrà , stavolta, anche per i dirigenti di Palazzo Chigi che, umma umma, furono salvati dai tagli della Finanziaria 2010 perché la cosa aveva «sollevato dubbi di natura interpretativa»? E quanto durerà , stavolta, la grancassa sui «tagli epocali ai costi della politica»? La famosa abolizione dei Comuni sotto i 1.000 abitanti, sparata poche settimane fa come «la soppressione di 54.000 poltrone», si spense il giorno stesso della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Risparmi previsti: zero! Zero carbonella.
È questo il problema. In un momento in cui si moltiplicano le perplessità  per i miliardi che mancano ai «saldi invariati» (quattro, cinque, chissà …) e autorevoli istituzioni segnalano che le entrate statali viaggiano verso il 50% del Pil, con il record assoluto di pressione fiscale a dispetto degli slogan «meno tasse per tutti», il governo, la maggioranza, la classe dirigente, avrebbero un disperato bisogno di credibilità . Messa a rischio da troppe norme sfarfalleggianti e sconcertanti contraddizioni.
Prendiamo la lotta all’evasione fiscale. Per anni il Cavaliere, al di là  dei condoni a raffica, ha ripetuto che evadere, per chi deve dare allo Stato più di un terzo di quanto guadagna è «un diritto naturale nel cuore degli uomini». Ha detto che «dare soldi alla Guardia di finanza non è considerato reato dall’88% degli italiani». Ha raccontato barzellette tipo: «Due banditi entrano in un ufficio e urlano: “Questa è una rapina”. Un impiegato: “Ah, credevo fosse la Finanza”».
È dura, adesso, far la guerra agli evasori. Tanto più avendo al fianco quel Bossi che sfondò in politica incitando alla rivolta fiscale («Io non lo farei mai», lo bacchettò Silvius Magnago: «La mia patria è l’Austria, ma sono un cittadino italiano. E i cittadini le tasse devono pagarle»).
E solo due mesi fa impose l’altolà  alla offensiva contro gli evasori tuonando a Pontida: «Già  martedì voteremo un decreto che metta dei paletti all’azione di Equitalia. Ci sono agricoltori che si sono visti sequestrare trattori, balle, mucche. Così non possono lavorare…». Tesi rafforzata, mentre venivano rimosse le «ganasce fiscali» e allungati di altri 180 giorni in tempi per i contenziosi, dalle parole di altri leghisti. Come Matteo Salvini: «In certi casi Equitalia pratica lo strozzinaggio». Per non dire della minaccia di Calderoli di uno sciopero fiscale se non fossero stati trasferiti alcuni ministeri al Nord.
Si sono convertiti? Bene: anche San Paolo, prima di restare folgorato sulla via di Damasco, aveva altre idee. Saranno però chiamati a darne prova in modo convincente su certi punti scabrosi. L’Agenzia delle Entrate sta lavorando, ad esempio, a una stretta sulle società  di comodo. Quelle, per intenderci, cui sono intestate barche e ville (compresi lo yacht di Flavio Briatore o la Certosa di Porto Rotondo) per fare marameo al Fisco. Passerà , quella stretta? E come?
Non si tratta di convincere solo i cittadini. La stessa Corte dei Conti due anni fa, davanti all’ennesimo ipotetico pacco di miliardi da ricavare dalla guerra agli evasori e messo alla voce «entrate», usò parole dure: «Sussiste il problema dell’incertezza sugli effetti di gettito ascrivibili alla lotta all’evasione a causa dell’assenza di affidabili meccanismi e metodologie di verifica a posteriori che consentano di distinguere con certezza l’effettivo recupero di evasione agli effetti imputabili al ciclo economico o a fattori normativi o, anche, a meri errori di stima». Parole al vento. Ma pesanti come pietre. Tanto più alla luce di una manovra composta, come quella attuale, per oltre il 60% da aumenti delle entrate e per meno del 40 da tagli alle spese. Auguri.
Quanto ai «costi della politica», viene un sospetto: che per lasciare che tutto rimanga com’è, stiano «promettendo» che tutto cambierà . Vale per il dimezzamento dei parlamentari, vale per l’abolizione delle Province. Affidati a un mitico disegno di legge costituzionale destinato a fare 4 passaggi parlamentari in un anno e mezzo. Il tutto dopo anni di ringhiose barricate leghiste. Dopo che ai primi di luglio la stessa maggioranza aveva seppellito alla Camera sotto una valanga di no l’identica legge proposta dall’Italia dei Valori. Dopo che solo alla vigilia di Ferragosto, davanti ai crolli in Borsa, la prima versione della manovra aveva deciso di abolirne 37 poi scese a 29 e infine a 22. Anche qui, auguri.
Non possono pretendere però che i cittadini ci credano così, al buio. Non dopo avere scoperto che quel famoso progetto di riforma storica e immediata sventolato da Roberto Calderoli non è mai (mai) stato depositato. Non dopo aver letto sul «Giornale» tre anni fa un titolo a 9 colonne: «Via alla manovra: abolite nove Province». Non dopo avere trovato su «La Padania» di due settimane fa, a proposito di «svolte epocali» già  oggi evaporate, il titolone «La Casta colpita al cuore». Questa volta gli annunci non bastano più. Non solo ai mercati: ai cittadini.


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