Le festività  “civili” spostate alla domenica per avere più produttività 

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ROMA – Niente festa della Liberazione, stop ai cortei del Primo di maggio, fine della sfilata del 2 giungo e soprattutto basta con i «ponti». Per uscire dalla crisi ogni strada è buona, anche quella che passa attraverso l’abolizione delle festività  civili. Lo ha detto ieri il ministro Tremonti durante l’audizione alle Commissioni parlamentari: «C’è un modo tipicamente europeo per aumentare la produttività  – ha suggerito – accorpare le festività  sulle domeniche, tranne quelle religiose che sono oggetto di trattato». E fin qui il messaggio è chiaro: il rinvio della festa probabilmente si farà .
Meno chiara invece l’altra ipotesi – molto più pesante – buttata lì dal ministro parlando della lettera inviata al governo italiano dalla Bce. Per quanto riguarda la materia del lavoro – ha raccontato – «c’è la spinta a una contrattazione a livello aziendale e al superamento di un sistema centrale rigido. E poi formule, come dire, piuttosto critiche come licenziamento e dismissione del personale, compensato con meccanismi di assicurazione e di migliore o più felice collocamento sul mercato del lavoro». «Non è detto – ha precisato il ministro – che tutto questo sia parte della condivisa attività  del governo».
Il dubbio, comunque, resta e mette in allarme il sindacato, molto più preoccupato da questa tema che da quello delle feste. La Cgil ha inviato un documento ai colleghi: «Chiediamo a Cisl e Uil uno straordinario impegno unitario per contrastare la politica unilaterale di attacco ai ceti deboli e al lavoro che è fulcro della manovra economica che si accinge a varare il governo» sta scritto. E il sindacato non ha ancora rinunciato a ipotizzare lo sciopero generale se la manovra sarà  “iniqua”. La partita sarà  giocata al tavolo fra governo e parti sociali annunciato due giorni fa dal sottosegretario Letta, ma in attesa di aprirlo la tensione sale.
Per quanto riguarda invece lo spostamento alla domenica successiva dei festeggiamenti per il 25 aprile, il 1 maggio e 2 giugno (tutte le altre festività  hanno origine religiosa) va detto che l’annuncio non ha generato molto stupore. I dubbi che il rinvio serva davvero sono molti, ma l’idea in sé non è nuova: basti ricordare tutte le polemiche scoppiate lo scorso primo maggio riguardo all’apertura dei negozi nei centri storici delle grandi città . O ancora al dibattito che accompagnò la decisione di festeggiare i 150 anni dell’unità  nazionale (17 marzo festa nazionale straordinaria, varata per decreto e compensata dal fatto che per quest’anno il 4 novembre non sarà  pagato come festività  soppressa).
«Lavorare tre giorni in più non cambierà  le cose – commenta Michele Gentile, responsabile per la Cgil del settore pubblico – guarda caso si vanno però a tagliare proprio quelle feste che rappresentano la memoria laica del Paese». Stessa linea anche per Giuliano Cazzola del Pdl: «Di festività  civili ne sono rimaste poche e sarebbe proprio il caso di celebrarle visto che si tratta del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno». «Magari – specifica Cazzola – potremmo cominciare ad abolire la festività  del santo patrono, che è diversa in ogni comune della penisola». Decisamente contrarie le agenzie di viaggio e il turismo: «Così sì azzoppa un’abitudine sempre più in voga che vede molti turisti approfittare dei ponti festivi per fare vacanze brevi» commenta la Fiavet-Confcommercio.


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