L’assessore e l’architetto: mai preso soldi

by Sergio Segio | 30 Agosto 2011 6:41

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MONZA — Negano tutti, e tutto. Le presunte tangenti per gli interventi nelle aree Falck e Marelli di Sesto San Giovanni sono girate per anni solo in contanti, che non lasciano tracce e prove. E i primi indagati possono negare di aver preso soldi ai magistrati di Monza che li interrogano nell’inchiesta che, dopo le rivelazioni degli imprenditori Giuseppe Pasini e Piero Di Caterina, ha travolto il vice presidente dimissionario del Consiglio regionale lombardo Filippo Penati, accusato di aver ricevuto tangenti milionarie quando era sindaco Pds-Ds del comune dell’hinterland milanese.
L’ex assessore all’edilizia Pasqualino Di Leva, interrogato in carcere dal gip di Monza Anna Magelli dopo l’arresto di giovedì scorso, è accusato di corruzione per aver ricevuto 710mila euro per il raddoppio dell’area edificabile dell’intervento Falck e varie bustarelle da Di Caterina, oltre a un’autovettura Toyota Corolla nell’agosto 2006 in contanti dall’architetto Marco Magni, anche lui in carcere perché ritenuto dai pm Water Mapelli e Franca Macchia il suo collettore di tangenti e inventore degli «oneri conglobati». Per Di Leva, Di Caterina non è che un violento e un calunniatore e quell’auto l’ha pagata lui con i propri soldi. Così come erano suoi i 250 mila euro versati al genero e gli altri 70 mila andati alla suocera per due appartamenti, anche se è riuscito a giustificare solo 140mila euro con la liquidazione ricevuta quando lasciò il lavoro. La Guardia di Finanza di Milano, però, ha accertato che a fronte di un reddito di circa 47 mila euro, sul conto dei coniugi Di Leva nel 2008 sono piovuti ben 415mila euro in contanti o assegni. Il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Vella, ha detto che Di Leva ha prodotto documenti che dimostrerebbero la sua innocenza.
Pur avvalendosi della facoltà  di non rispondere, l’architetto Marco Magni (anche lui in cella) non ha rinunciato a dichiarazioni spontanee. Per l’accusa, il rapporto con Di Leva garantiva a Magni una corsia privilegiata e mano libera negli uffici comunali. Gli imprenditori che si rivolgevano a lui, come Di Caterina, che ha detto di essere stato instradato verso Magni da Di Leva, dovevano pagare «oneri» per oliare i meccanismi. Su un conto della società  inglese Shorelake la Gdf ha scovato circa 400mila euro ritenuti il «tesoretto» di Magni per le tangenti ai politici. Anche Magni ha detto che i soldi sono suoi, che in realtà  sono il doppio, che sono rientrati in Italia con lo scudo fiscale e sono su un conto destinato «a una vecchiaia tranquilla». Il suo difensore, l’avvocato Luigi Peronetti, ha chiesto la scarcerazione.
Mentre il gip Magelli interrogava Di Leva e Magni, i pm Mapelli e Macchia sentivano Nicoletta Sostaro, l’ex responsabile dello sportello unico dell’edilizia di Sesto indagata per corruzione. Per l’accusa, il «tesoretto» di Magni era finalizzato anche a pagare lei affinché evitasse intoppi alle pratiche edilizie presentate dal professionista. «Corsia preferenziale? La tempistica era uguale per tutti», ha dichiarato Sostaro ai pm. Per il suo legale, l’avvocato Rosario Minniti, lei «è l’ultima ruota del carro, e forse non appartiene nemmeno al carro». Eppure partecipò a Milano a una cena alla presenza di Di Leva e dell’imprenditore Giuseppe Grossi (indagato con l’immobiliarista Luigi Zunino per la vicenda Falck). «Ha dichiarato di aver partecipato anche ad altre 3-4 cene di lavoro con professionisti», ha detto Minniti precisando che la sua cliente poteva solo eseguire le volontà  dei politici. Il grande accusatore Di Caterina ha rivelato di averle consegnato una bustarella da cinquemila euro per accelerare sue pratiche edilizie. La donna ha risposto che trovò il denaro in un pacco datole dall’imprenditore a Natale 2006, ma lo restituì offesa il giorno dopo a quell’uomo che la spaventava perché girava armato.
I pm ora puntano ad approfondire il filone dei compensi per 2,4 milioni ai professionisti Francesco Agnello e Giampaolo Salami che, legati alle cooperative, sarebbero stati imposti da Penati a Pasini nell’affare Falck. L’imprenditore accettò perché considerava le cooperative «il braccio armato» del partito di Penati (indagato per finanziamento illecito) e in grado di garantirne «la parte romana». Per questa storia il vicepresidente Omar Degli Esposti, indagato per concussione come i due consulenti, potrebbe essere sentito nei prossimi giorni. In programma anche gli approfondimenti sull’adeguatezza del prezzo di acquisto da parte della Provincia di Milano (allora guidata da Penati) del 15% delle azioni della Milano-Serravalle.

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