«Assad deve andarsene» Ma Damasco sfida la condanna del mondo

by Sergio Segio | 19 Agosto 2011 6:26

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NEW YORK — Vattene Assad. Lo dice forte e chiaro Barack Obama prima di partire per dieci giorni di sospirata vacanza sull’isola di Marthà s Vineyard con la moglie e le figlie: «Per il presidente siriano è arrivato il momento di andarsene». Lo dicono i leader di Gran Bretagna, Francia e Germania in un documento congiunto: «Assad lasci il potere nell’interesse del suo popolo». Il leoncino di Damasco diventato iena non è mai stato così sotto pressione. Anche alle Nazioni Unite qualcosa si muove ai piani alti: il Consiglio per i Diritti umani ieri ha ottenuto una riunione del Consiglio di sicurezza per discutere un rapporto sui crimini in Siria presentato dall’Alto commissario Navi Pillay. Un atto d’accusa di ventidue pagine in cui gli investigatori documentano le azioni delle forze di sicurezza contro la popolazione civile: oltre duemila morti in cinque mesi di proteste, episodi come l’esecuzione di 26 persone tra cui un ragazzino di 13 anni nello stadio di Deraa, il primo maggio. E ipotizzano per Assad un’incriminazione per crimini contro l’umanità  e il deferimento alla Corte penale internazionale. L’Onu intende inviare, nel fine settimana, una missione in Siria per valutare la crisi umanitaria. Certo al Palazzo di Vetro il regime siriano conserva i suoi potenti amici, a cominciare da Russia e Cina (seguite da Brasile, India e Sudafrica) che hanno sempre stoppato anche solo una blanda risoluzioncina di critica da parte del Consiglio di sicurezza. La novità  è che dopo le violenze degli ultimi giorni il cerchio degli avversari esterni si stringe intorno a Bashar Assad. E alza la voce. Condanna senza appello e sanzioni economiche. «Il futuro della Siria deve essere deciso dal suo popolo — precisa Barack Obama —. Avevamo già  chiesto al presidente Assad di guidare una transizione democratica nel Paese oppure di farsi da parte. Non c’è stata nessuna transizione. A questo punto deve togliersi di mezzo».
Vattene Assad. Out of the way, fuori dalle scatole. Le cautele dell’Occidente, accusato in questi mesi di bombardare il libico Gheddafi risparmiando al tempo stesso il collega siriano Assad, vengono meno. Un intervento armato resta fuori dall’agenda delle opzioni. Ma i toni sono ultimativi come mai prima d’ora. Alle parole forti di Washington fa da sponda il comunicato altrettanto duro messo a punto dalla triade europea Cameron-Sarkozy-Merkel: «Assad ha perso legittimità , non può più pensare di guidare il Paese». Anche il fronte arabo, guidato da Turchia e Arabia Saudita, si fa più compatto (pure all’interno del non sempre «umano» Consiglio per i Diritti umani dell’Onu dove Giordania, Kuwait e Qatar hanno chiesto con gli altri 21 Paesi membri una riunione straordinaria per lunedì prossimo).
Sono le bordate che arrivano dagli Stati Uniti le più dolorose per Damasco. Le nuove sanzioni economiche di cui ha parlato il Segretario di Stato Hillary Clinton si annunciano pesanti: congelamento dei beni di Stato negli Stati Uniti, divieto per le aziende Usa di nuovi investimenti e messa al bando di ogni transizione legata al petrolio siriano (che peraltro va al 90% nei Paesi Ue).
«Queste misure colpiranno il regime al cuore», ha detto la Clinton. Ora gli Usa si aspettano che nuovi Paesi si aggiungano alla carovana delle sanzioni, già  nella riunione prevista per oggi a livello di Unione Europea.
Tema sempre delicato, le sanzioni — soprattutto in Medio Oriente (l’embargo all’Iraq di Saddam Hussein) — tanto da indurre Hillary a mettere le mani avanti, precisando che «saranno presi tutti gli accorgimenti necessari per mitigare gli effetti non voluti sulla popolazione civile».
Basterà  la voce compatta dell’Occidente (e dei Paesi arabi) a indurre Assad a un’apertura in extremis? Le prime reazioni da Damasco sembrano dimostrare il contrario. Ieri il presidente siriano aveva anticipato la condanna di Obama, dichiarando «terminate» le operazioni militari. In serata la voce femminile del regime, Reem Haddad, responsabile delle relazioni esterne del ministero dell’Informazione, ha rimandato le condanne ai mittenti: «È strano che anziché dare il loro aiuto per applicare il nostro programma di riforme, Obama e il mondo occidentale cerchino di fomentare la violenza in Siria».

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