L’anno fatale della doppia economia

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Nel quarto anno di crisi che stiamo ora attraversando il problema che affligge l’intero Occidente partendo appunto dall’economia americana è la caduta della domanda: i consumi privati ristagnano, la vendita delle case è crollata, le imprese hanno ristretto al minimo le riserve di magazzino, la disoccupazione è in aumento.
I buoni del Tesoro Usa sono invece fortissimi nonostante che l’agenzia di rating Standard & Poor’s li abbia declassati. Errore madornale: i “Treasury bond” sono solidissimi, il loro rendimento è sceso al 2 per cento, sono diventati un bene-rifugio come i “Bund” tedeschi, come l’oro e come – nel suo piccolo – il franco svizzero.
Standard & Poor’s dovrebbe fare pubblica ammenda dell’errore commesso che non è il primo e purtroppo non sarà  l’ultimo. La rete dei conflitti di interesse di queste agenzie è tale da meritare un’indagine giudiziaria approfondita a tutela della fede pubblica.
I guai dell’economia Usa non vengono dunque dal suo debito sovrano ma dalla doppia recessione. La prima si scatenò a causa della bolla immobiliare nel 2008 e falciò il reddito di tutto l’Occidente (e non solo) fino al 2009.
Poi si riprese e sembrò che la recessione fosse terminata.|L’Europa però non aveva eliminato i suoi problemi aggiuntivi: la minaccia di insolvenza della Grecia, la crisi bancaria dell’Irlanda, la diffusione di “titoli derivati e tossici” nel portafoglio di molti e importanti istituti bancari e assicurativi.
La Germania (e di conseguenza l’Europa con le sue deboli istituzioni) tergiversò e lesinò gli aiuti, le crisi si aggravarono, il contagio si diffuse, coinvolse il Portogallo, gettò ombre sulla Spagna e alla fine contaminò anche il nostro debito sovrano cogliendo di sorpresa il nostro governo. Aveva negato fino a pochi giorni prima che il nostro debito sovrano potesse mai esser messo in discussione, non aveva predisposto alcun piano operativo, credeva d’aver messo i nostri conti in sicurezza. Ma non era vero.
Per mettere in sicurezza i conti d’una nazione afflitta da un debito pubblico che è il quarto del pianeta è necessario rilanciare in ogni modo possibile la crescita del Pil, ma il governo sul tema della crescita che langue da anni insieme alla produttività , non fece e non predispose assolutamente niente.
Ora che la contrazione economica è in corso in tutto l’Occidente minacciando di trasformarsi in una vera e propria recessione, noi stiamo peggio di tutti: la recessione del nostro Pil è dietro la porta e il debito sovrano è sotto costante attacco. Gli interventi della Bce hanno momentaneamente arginato gli assalti ma non risolvono il problema. Martedì prossimo le Commissioni parlamentari competenti dovranno esaminare la nuova manovra (la terza della serie negli ultimi due mesi) raffazzonata in fretta e furia; dovranno emendarla e approvarla «senza stravolgerla» entro una settimana. Poi si andrà  al voto delle Camere ed entro la metà  di settembre tutto dovrà  esser concluso.
Il fatto che si tratti della terza manovra in due mesi dice quale sia lo stato di impreparazione del governo e in particolare del ministro dell’Economia e spiega anche il perché del commissariamento che Germania, Francia e Bce hanno imposto al nostro governo. Commissariamento sugli obiettivi ma non sulle modalità  per raggiungerli che spettano al governo e al Parlamento. Si procede con lo slogan che la manovra potrà  essere emendata ma non stravolta. Ma è già  stravolta, è nata senza un volto ed è figlia di nessuno come ha detto Bersani; più esattamente: è figlia dei contrasti insanabili tra il presidente del Consiglio e il suo ministro dell’Economia.
Più stravolta di così!
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L’anno terribile da tener presente ricordando il passato per meglio comprendere il futuro fu il 1937. Federico Rampini l’ha ricordato su queste pagine e gli esperti che stanno esaminando la matrioska americana lo hanno assunto come punto di riferimento essenziale.
Nel 1937, otto anni dopo l’inizio della crisi del ’29, Franklin D. Roosevelt e i suoi consiglieri pensarono che la recessione fosse stata definitivamente sconfitta e decisero di cambiare marcia. Abolirono gran parte degli interventi pubblici che avevano risollevato l’economia, tagliarono i lavori pubblici e una parte del “welfare” con l’obiettivo di mettere i conti in sicurezza.
Fu l’inizio della seconda recessione che ebbe fine soltanto con lo scoppio della guerra mondiale del 1939 e il programma di riarmo degli Stati Uniti.
E bene, in Usa si sta profilando una seconda recessione quattro anni dopo la prima. Obama ha avuto una ben triste sorte: Bush tagliò le tasse sui ceti ricchi, il Tea Party gli ha impedito di ripristinarli ed ha preteso la limatura del welfare, Standard & Poor’s gli ha declassato il debito che dal giorno successivo è diventato addirittura un bene-rifugio. Così sta tramontando una leadership che era sembrata una svolta storica per l’America e per il mondo.
La nostra piccola matrioska italiana subisce i contraccolpi della tempesta arrivata dagli Stati Uniti, ma qui non c’è nessuna leadership da travolgere: da tre anni il sogno berlusconiano ha rivelato la sua inconsistenza e da un anno anche molti dei suoi sostenitori l’hanno capito. Adesso i nodi vengono al pettine tutti insieme e questo è un grosso guaio.
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La manovra senza volto e figlia di nessuno ha un solo obiettivo che le è stato dettato da fuori: anticipare di un anno il pareggio del bilancio. Per realizzarlo deve anticipare tagli alle spese e maggiori entrate con questa progressione: 6 miliardi nell’esercizio corrente, 27 l’anno prossimo e 12 nel 2013.
Dove li troverà  è ancora incerto. Tremonti ne ha finora indicati una trentina sommando insieme i minori trasferimenti agli enti locali, i tagli ai ministeri, la sovrattassa sull’energia, le accise, l’aumento dei tabacchi, l’aumento di giochi, il contributo sull’Irpef oltre i 90 mila e i 150 mila euro, il recupero sulle pensioni di invalidità  e di reversibilità , l’accelerazione dell’età  pensionabile femminile.
Mancano le indicazioni per i rimanenti 15 miliardi ma dovrebbero venire dalle deleghe sull’assistenza e sul fisco oppure, in caso di tardiva operatività  delle deleghe, da un piano B di tagli automatici per l’assistenza e i ministeri.
Tuttavia questa bozza senza volto e senza padre non solo non soddisfa l’opposizione ma neppure le parti sociali nonché una folta dissidenza nel Pdl.
Le proposte di modifica, a saldi invariati, si susseguono: c’è chi vuole l’aumento dell’Iva, chi l’abolizione del contributo Irpef, chi la modifica delle pensioni d’anzianità , chi una lotta decisa contro l’evasione, chi una tassazione patrimoniale straordinaria, chi la vendita dei beni e delle partecipazioni pubbliche, chi la tassazione dei capitali “scudati”, chi sostegni alle imprese e ai consumi.
Le combinazioni tra queste diverse proposte sono innumerevoli, ma per quanto riguarda la crescita siamo ancora nella nebbia più fitta sebbene sia quello il tema fondamentale. Per avere un senso reale e non simbolico, le risorse per rilanciare la crescita dovrebbero avere una dimensione tra i 15 e i 20 miliardi. Bisognerebbe cioè prevedere una quarta manovra. Affidata a tre zombie che fanno finta di marciare sottobraccio mentre si scambiano pedate e sgambetti ad ogni passo.
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Sarebbe ridicolo che fossero i media a indicare i lineamenti correttivi della manovra il cui iter parlamentare avrà  inizio dopodomani e dovrà  concludersi tassativamente tra un mese e mezzo mentre i mercati continuano a picchiare. Ma alcune cose si possono dire perché sono di palese evidenza. Eccone un elenco.
1) La lotta all’evasione basata su una puntuale tracciabilità , è il fondamento principale di ogni politica in un Paese dove il sommerso fiscale e previdenziale rasenta i 200 miliardi.
2) Il passaggio dal sistema pensionistico ancora largamente retributivo a quello interamente contributivo è una riforma necessaria: può procurare nuove risorse all’erario ma soprattutto rende possibile un patto generazionale indispensabile per i giovani.
3) La vendita di immobili pubblici è impraticabile: in un mercato esangue come quello attuale la loro appetibilità  è scarsissima. L’ipotesi di scaricarli su società  pubbliche del tipo Fintecna o di cartolarizzarli ha un solo significato: farsi anticipare dalle banche il loro valore stimato. Ma le banche sono già  ampiamente penalizzate dall’eccessiva quantità  di titoli pubblici che hanno in portafoglio. Caricarle di quest’altro fardello è un’ipotesi priva di senso.
4) L’indignazione e il pianto provocati dal contributo di solidarietà  sono del tutto ingiustificati. È vero che la fascia di reddito tra i 90 e 150 mila euro lordi appartiene al nerbo del ceto medio e sarebbe pericoloso penalizzarla perché scoraggerebbe i suoi consumi e i suoi risparmi, ma per i redditi oltre i 150 mila questa preoccupazione è ingiustificata. Si tratta di chiedere un contributo per tre anni, deducibile dalle dichiarazioni di reddito, a persone con un reddito netto oltre i 75 mila euro annui. Il prelievo (chi scrive lo sa per diretta esperienza) ammonterebbe a circa 20 mila euro complessivi per i tre anni. Vi sembra una spoliazione oppure un doveroso contributo in un momento di gravissima difficoltà  per il Paese? Si tratta, è vero, dei soliti noti perché sono perfettamente rintracciabili e rintracciati, ma questo non esime dal contribuire al sostegno del Paese.
Semmai rende ancor più doverosa la lotta all’evasione ma non ci esime e sono molto stupito dei “lai” di Montezemolo e della Marcegaglia.
5) Un’imposta sugli immobili con ampie detrazioni sociali è estremamente opportuna.
6) Un’imposta patrimoniale sulla ricchezza immobiliare e mobiliare (titoli di Stato esclusi) è sommamente auspicabile. Non è condivisibile la proposta di Modiano d’una patrimoniale elevata e straordinaria. Ci vuole piuttosto una patrimoniale ordinaria con aliquote moderate.
7) I capitali “scudati” non sono facilmente rintracciabili né è opportuno un nuovo condono sia pure con scudo più elevato: sarebbe un flop e i mercati lo segnalerebbero immediatamente.
8) La proposta di Veltroni di accettare la discussione sulle modifiche costituzionali all’articolo 81 a condizione di dimezzare da subito il numero dei parlamentari sembra molto opportuna. È utile comunque rafforzare l’articolo 81 ma inchiodarlo al pareggio del bilancio in tempi di economia globale significa affidare la politica economica di un Paese non già  ad un governo governante ma alla Corte dei Conti e alla Banca centrale. Esprimo qui un’opinione personale: mi sembra una pura sciocchezza parlare di queste cose in una fase dove il maggior timore dell’economia mondiale è la recessione col relativo crollo della domanda e delle esportazioni.
9) Affamare i Comuni e le Regioni significa aumentare localmente la pressione fiscale e penalizzare servizi e lavori pubblici locali. Nelle proporzioni contenute nella manovra quei tagli sono scriteriati.

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Vedremo dopodomani chi si assumerà  in Parlamento il compito di dare un senso ad una bozza raffazzonata con proposte alternative spesso improvvisate e incoerenti. Scilipoti veglia affinché il volto sia il suo, ma vegliano anche i tre litiganti che camminano sottobraccio, veglia il Tea Party italiano guidato dai frondisti di Martino e Stracquadanio e vegliano nella matrioska dove convivono la Merkel e Sarkozy, che non si è ancora capito che cosa vogliono e che cosa rifiutano.
Si è invece addormentata l’Intelligenza e i mercati fanno festa.


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