L’agenda di Papa in una pen drive era destinata al carabiniere latitante
NAPOLI – La nutrita rubrica telefonica personale dell’onorevole Alfonso Papa, magistrato e parlamentare Pdl arrestato nell’ambito dell’inchiesta P4, è tutta nella memoria di una pen drive. Il supporto informatico è nella borsa di una donna senegalese che sta rientrando nel suo paese per raggiungere il marito latitante. Quella donna è Gueyne Suzane, detta Aisha. È la moglie del maresciallo dei carabinieri Enrico La Monica, in fuga da quando i pm napoletani dell’inchiesta P4, Francesco Curcio ed Henry John Woodcock, hanno ottenuto dal gip le ordinanze di custodia cautelare nei suoi confronti, oltre che per il faccendiere Luigi Bisignani e per il parlamentare Papa, poi arrestato il 20 luglio su autorizzazione della Camera dei deputati. La cittadina senegalese viene fermata e controllata all’aeroporto di Malpensa, salta fuori e viene sequestrata la preziosa rubrica, fonte inesauribile per il prosieguo delle indagini. Soprattutto elemento fondante, per il ricorso al Riesame degli inquirenti, contro il rigetto da parte del gip dell’accusa di associazione a delinquere e associazione segreta. Quella rubrica, per i magistrati, era stata data alla donna diretta in Senegal perché doveva sparire. E il luogo più sicuro poteva essere, per chi ha dato il documento ad Aisha, solo dove si nascondeva il latitante maresciallo La Monica.
Ancora uno sviluppo, nella complessa inchiesta P4, il giorno dopo la scoperta che anche la moglie di Papa, avvocato Tiziana Rodà , è indagata per concussione. Emerge dagli ultimi atti depositati al tribunale del Riesame che dovrà pronunciarsi tra oggi e domani sull’istanza di scarcerazione dell’onorevole Papa presentata dai suoi legali Carlo Di Casola e Giuseppe D’Alise. La difesa non ha depositato nuovi atti. L’accusa ha invece aggiunto – oltre all’interrogatorio dell’imprenditore Marcello Fasolino che fa l’elenco delle tangenti pagate a Papa, e oltre agli accertamenti bancari sui conti del parlamentare – proprio le motivazioni della sentenza di rigetto dell’istanza di scarcerazione per il maresciallo La Monica. Ed è qui che, oltre al ritratto di un carabiniere disposto a tutto pur di entrare nei Servizi segreti, spunta la circostanza dell’aeroporto di Malpensa. Dettaglio in più, per i giudici del tribunale della Libertà , che dimostra «la natura preordinata e programmatica del viaggio in Africa del maresciallo».
Elementi che convincono i giudici: La Monica non ha alcuna intenzione di rientrare in Italia. Mentre nelle carte viene inserito anche l’interrogatorio ad un altro imprenditore, Alfonso Gallo, che parla dello stesso La Monica e lo descrive – dato, questo, che la Procura dovrà approfondire – come «compagno di un magistrato di Napoli». È la doppia vita del maresciallo, in servizio al Ros di Napoli, che secondo l’accusa, per conto di Papa, esegue accessi abusivi alla banca dati delle forze dell’ordine. Quando sta per scoppiare la bomba P4, La Monica parla con sua sorella, le chiede di vendere per suo conto l’auto e i mobili. Lui si trasferisce in Senegal. Dice ai familiari: «I travagli degli altri sono imbrogli grossi». E così è. Sparisce, se ne va. Ma i suoi legami con l’Italia e la P4 restano. La prova, per i magistrati, è proprio quella pen drive nella borsa di Aisha con la rubrica dell’onorevole Papa.
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