La talpa del comune virtuoso
Bengasi, oltre ad essere un chirurgo che ogni anno passa un mese in Africa con «Médicins sans frontières», è uno di quei sindaci che, una volta eletto, ha messo mano al centro storico abbandonato negli anni sessanta, ha creato un parco archeologico nel vero e proprio canyon che sta sotto il paese e in cui dal tempo degli etruschi si è buttato di tutto (e oggi si trova di tutto), ha ricavato un bel teatro da un edificio vetusto e in rovina, ha inaugurato la raccolta differenziata e incentivato le energie rinnovabili a misura di famiglia… Perciò ha di recente vinto il premio dei «Comuni virtuosi» ed è stato rieletto, caso unico, senza un avversario: la destra locale si è arresa prima di combattere. Bene, moltiplicate per alcune centinaia, forse migliaia, quelli come Bengasi, il gruppo di persone che lavora con lui, i cittadini convinti che sobrio è meglio e che i migranti sono persone anche loro, e otterrete un’Italia che ricostruisce, nonostante l’agonia dell’agricoltura, l’invasione delle Grandi Opere e la disillusione democratica, un modo di vivere se non felice, per lo meno speranzoso. E invece cosa accade? Che una gigantesca talpa assetata di profitti e spinta dalla dissennata attività edilizia (la «crescita», in una delle sue facce peggiori) gli fa illegalmente un enorme buco per terra mettendo a rischio l’acqua di una parte del paese.
Ma accade di peggio. La famosa “manovra” colpisce in egual misura i redditi da lavoro o da pensione e le finanze degli enti locali. Come dice il Sole 24 Ore, i sindaci «sono rimasti con il cerino acceso in mano». Ossia, dopo tanto blaterare di federalismo, ecco che si dà il colpo di grazia alle casse locali. Grazie anche a un cosiddetto patto di stabilità così demenziale da impedire di spendere anche a chi i soldi li avrebbe. Come c’entra una cava con la “manovra”? Semplice: se non ci sono i soldi, o si aumentano le tasse locali oppure, o anche, si vende territorio, concedendo licenze edilizie e permessi di scavare e altre cose simili. Perciò nel futuro Bengasi e tutti i suoi colleghi dovranno scordarsi di perdere tempo con la cultura, ché tanto, come dice Tremonti, “non dà da mangiare”.
La mia impressione è che non solo si è rotto il patto tra lo Stato e cittadini, dacché gli Stati sono al servizio della finanza globale, ma si è anche spezzato il legame tra democrazia di base (quella dei comuni che, dice la Costituzione, è la base di tutto) e presunta democrazia “nazionale”. Forse converrà prossimamente «deconnettersi» e cercare una relazione orizzontale tra comunità , come dice Alberto Magnaghi.
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