La spesa intelligente ai tempi della crisi

by Sergio Segio | 30 Agosto 2011 6:09

Loading

Un giorno alla settimana a Bushwick, rione di Brooklyn, si ripete questa scena bucolica nel cuore di uno dei quartieri più “metropolitani” di New York. Dalle campagne arriva ogni bendiddio: uova fresche di galline ruspanti allevate all’antica dagli Amish, basilico e rosmarino profumati come nel Mediterraneo, pomodori “heirloom” dell’agricoltura biologica che sanno davvero di qualcosa. A distribuirsi la cornucopia ci sono i membri della Bushwick Food Cooperative. Come Benn Rasmussen, 29 anni, di mestiere ballerino; Shira Shaham, 30 anni, Ariel de Leon, 25. Tutti giovani e squattrinati. Non i clienti tipici che incontreresti da Whole Foods, il supermercato “bio” dei ricchi dove tutto costa il 30% in più. Loro invece hanno il privilegio di riempirsi il frigo a prezzi veramente popolari e con roba di primissima qualità , genuina, fresca, sana, chilometro zero. Unica condizione: devono dedicare qualche ora ogni settimana al lavoro per la cooperativa, nella distribuzione o nell’amministrazione. Un po’ del loro tempo, in cambio di prelibatezze venute dalla campagna: un baratto che piace sempre di più.
Un’altra scena tipica accade a Somerville nel Massachusetts. Centinaia di giovani signore affluiscono dalla vicina Boston per il National Swap Day, la giornata nazionale dello scambio: in un anfiteatro affittato per l’occasione si scambiano tra loro ogni sorta di usato, dagli abiti delle griffes più prestigiose alle borse e altri accessori di marca, anche libri e Dvd.
Lo happening di massa dura poco: in mezz’ora sparisce tutto. “Swap”, è un’altra forma di baratto. Economico, appagante, comunitario. Quando non ho più bisogno di un oggetto, non è detto che l’unica destinazione sia la discarica.
Qualcosa di profondo sta cambiando nei comportamenti economici. Se accade nella Mecca mondiale del materialismo consumista, l’America, ha la portata di una rivoluzione. Perché spendere e comprare, se invece posso “usare”, prendere ciò che mi serve solo quando mi serve? Baratto, affitto, prestito, scambio, usufrutto collettivo, cooperazione: esplode in mille forme questa nuova economia. E’ l’ascesa del Consumismo Collaborativo, così lo definiscono gli studiosi Rachel Botsman e Roo Rogers in un saggio intitolato “What’s Mine is Yours”, quel che è mio è tuo. «E’ l’addio definitivo al XX secolo e alla sua cultura dell’Io», afferma la Botsman. A provocare questa svolta contribuiscono fattori generazionali, culturali, tecnologici. The Economist riassume: «Che cosa fate se siete ambientalisti, senza soldi, e ben connessi con la comunità  online? Dividete». L’economia della condivisione dilaga tra i giovani perché è la soluzione efficiente, sostenibile, etica, ed è facilitata dall’uso sistematico dei siti sociali. Il magazine Time ne fa «una delle dieci idee che cambieranno il mondo» e osserva che «un giorno la proprietà  ci sembrerà  anacronistica, guarderemo indietro al XX secolo e ci chiederemo perché avevamo bisogno di accumulare tutta quella roba». Non è obbligatorio avere vent’anni per capirlo. Nella metropoli post-moderna per antonomasia, Manhattan, che bisogno ho io di possedere un’auto privata, se Zipcar mi offre sotto casa un’auto ibrida o elettrica pagandola a ore, il giorno in cui veramente mi serve? Nel paese più auto-dipendente della terra, già  500.000 americani si sono convertiti a Zipcar, una versione molto più evoluta e sofisticata dell’autonoleggio (maggior semplicità , parcheggi ovunque, uso anche per periodi brevissimi). Idem per il Vélib, il sistema delle biciclette pubbliche parigine che dilaga in America da Washington a Denver, da Minneapolis a Miami. Nei Dvd, Netflix ha 20 milioni di abbonati che guardano il film e lo restituiscono per posta o online. SnapGoods, Share Some Sugar, NeighborGoods hanno esteso su scala metropolitana l’idea del prestito temporaneo di oggetti, utensili, elettrodomestici fra vicini di casa: perché mai comprarsi un perforatore Black&Decker se ti serve solo una volta al mese? A pensarci bene, lo stesso vale per il tagliaerba, perfino l’aspirapolvere: quante ore al giorno questi apparecchi stanno immobili, proprio come l’auto? Vuoi per ragioni di austerità , vuoi per la troppa opulenza degli anni passati che ha riempito le nostre case di oggetti inutili, scopriamo che il poter usare è molto più importante del possedere. Jeremy Rifkin aveva intuito qualcosa battezzando la nostra era “l’età  dell’accesso”: nel mondo di Internet ciò che interessa è usufruire, non diventare proprietari. Yochai Benkler, che dirige il Berkman Center for Internet and Society all’università  di Harvard, parla di una «esplosione di comportamenti cooperativi, non più limitata a Internet, bensì destinata a segnare il comportamento umano come un fenomeno più generale».
Certo il baratto è un gesto economico ancestrale, precede di millenni la divisione del lavoro, il mercato, il capitalismo industriale. Anche l’idea dell’affitto è antichissima: dagli utensili agricoli dei contadini poveri, fino alle camere d’albergo, non scopriamo oggi l’uso a turni o in locazione. L’era digitale però ha esteso a dismisura le potenzialità . Un pioniere di questa nuova fase fu Napster che dieci anni fa dalla Silicon Valley attaccò frontalmente il business discografico e diffuse tra i giovani la cultura della gratuità  (altrimenti detta pirateria). Ancora prima Linux, il software aperto ovvero “l’anti-Microsoft”, propagava dal 1991 il concetto di un Internet gratuito, una sorta di comunismo digitale. Altri hanno capitalizzato il concetto trasformandosi in colossali business: Ebay è il più grande intermediario online dell’usato, Craiglist è il numero uno mondiale dei piccoli annunci per scambi di ogni sorta di servizi (prostituzione compresa). Ma di recente una generazione dei consumatori ha deciso di fare da sola. La novità  è la dis-intermediazione, il proliferare di iniziative dal basso, spesso no-profit, comunque decentrate e cooperative. Casi esemplari sono quelli di Couchsurfing (letteralmente “navigare sui sofà “) e Airbnb: siti che consentono di affittare una camera da letto, o anche solo un divano letto, a chi viaggia. Chi accumula crediti potrà  riscuoterli andando a sua volta ospite in casa d’altri. Dietro c’è un salto tecnologico e culturale: la costruzione della fiducia attraverso i siti sociali. Facebook e altri, consentono di valutare lo sconosciuto che vuole passare una notte a casa tua. C’è qualche rischio in più, rispetto alle forme tradizionali: di recente Airbnb è stato al centro di polemiche per la disavventura in cui è incappato un membro, il cui appartamento è stato “ripulito” da ospiti-rapinatori. Statisticamente però questi incidenti sembrano limitati. E in compenso lo scambio economico si arricchisce di una dimensione umana: si allacciano nuove amicizie con chi condivide l’esperienza del consumismo collaborativo. «Così il consumo diventa il tassello della costruzione di una comunità », sostiene Paul Zak che dirige l’istituto di studi in “neuro-economia” alla Claremont University in California.
L’ideologa di questo movimento, la Botsman, è tutt’altro che una marginale. Ha alternato gli studi a Oxford e Harvard con le consulenze alla Casa Bianca sotto Bill Clinton. Tutt’altro che neo-hippy, è la guru di una generazione di “micro-preneurs”, giovani che hanno spirito creativo e talento imprenditoriale ma non vogliono piegarsi alla logica mercantile. «Più che anti-consumismo, questo è il consumismo intelligente», sostiene la Botsman, il più adatto a un pianeta dalle risorse limitate, e a un’era post-crisi dove intere generazioni hanno aspettative di redditi decrescenti. Per questi giovani affrancarsi dall’imperativo dell’acquisto e della proprietà  privata, diventa una liberazione: la qualità  della vita non è più una funzione diretta del saldo sul conto in banca. A proposito di banche: il sito Zopa porta il micro-credito nato nel Bangladesh nel cuore del capitalismo più avanzato, a New York e in California. E’ un altro segno dei tempi: «I consumatori preferiscono prestarsi tra loro anziché passare dalle banche – dice la Botsman – è morta la fiducia nei monopoli centralizzati, mentre si costruiscono nuove reti di fiducia decentrate». Perfino la disoccupazione diventa un’opportunità . Poiché il mercato del lavoro è avaro di assunzioni, sta crescendo un mercato parallelo e informale in cui i disoccupati mettono a disposizione il proprio tempo e il proprio talento, in cambio di servizi e prestazioni di chi vive la stessa condizione.

Post Views: 195

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/08/la-spesa-intelligente-ai-tempi-della-crisi/