La Spagna blocca i rumeni

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 La crisi fa paura e spinge i governi, anche quelli considerati fino a ieri più aperti, a innalzare nuove barriere. E’ quanto sta accadendo nella Spagna di Zapatero che dopo qualche settimana di tensione con Bruxelles ieri ha ottenuto dalla Commissione europea il via libera per fermare l’ingresso nel suo territorio di lavoratori rumeni sprovvisti di un contratto di lavoro. Stop temporaneo, si sono affrettate a chiarire sia Madrid che Bruxelles, e che resterà  in vigore fino al 31 dicembre del 2012, ma pur sempre uno stop. Dietro la decisione c’è il timore che l’arrivo di nuovi lavoratori dalla Romania possa rendere ancora più difficile per il governo far fronte alla forte disoccupazione del paese, che già  oggi fa contare 5 milioni di spagnoli senza lavoro.Nel pieno di una crisi politica che lo ha costretto ad anticipare le elezioni a novembre, e bisognoso di placare le ansie dell’opinione pubblica, Zapatero ha deciso dunque di rispristinare i controlli di frontiera per la Romania, ultima entrata nell’Unione insieme alla Bulgaria. Dal punto di vista tecnico lo stop non rappresenta una misura particolarmente eccezionale, ma rende bene l’idea delle difficoltà  attraversate da Madrid. Al governo spagnolo è bastato infatti appellarsi alla «clausola di salvaguardia» prevista per quei paesi dell’Unione che hanno già  instaurato pienamente la libera circolazione per i lavoratori del paesi nell’Ue. Secondo le regole fissate dai Trattati, infatti, per ogni nuovo paese che entra a far parte dell’Unione c’è un periodo transitorio di sette anni in cui, secondo la discrezionalità  dei singoli stati membri, questi possono applicare le misure restrittive al libero movimento dei lavoratori dei paesi neo entrati. Per quanto riguarda la Romania su 26 paesi membri 15 hanno già  liberalizzato la circolazione, e tra questi fino a ieri c’era anche la Spagna. Tra gli 11 contrari, invece, ci sono Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, Austria e Olanda.

E’ dunque proprio facendo riferimento alla clausola di salvaguardia che Madrid ha chiesto di reintrodurre il blocco alla circolazione dei lavoratori rumeni. Una procedura relativamente facile. Avanzata il 22 luglio scorso, la domanda restrittiva è stata spiegata dal portavoce del governo Josè Blanco come una misura necessaria «per regolare il flusso immigratorio alle richieste del mercato del lavoro, ed evitare che queste persone cadano vittime del lavoro nero o di abusi e sfruttamento».
Una spiegazione che però ha convinto poco Bruxelles e provocato qualche momento di tensione. In particolare la commissione ha voluto vederci chiaro circa le vere ragioni che hanno spinto Madrid a decidere il giro di vite, e chiesto spiegazioni più dettagliate visto che la concessione della deroga è sì prevista, ma solo in caso di motivi «eccezionali». «E’ la prima volta che riceviamo una richiesta di questo tipo, e dobbiamo valutare bene tutti i dati», ha spiegato a luglio un portavoce della commissione.
I dati che Madrid si è affrettata a fornire dipingono una Spagna in forte difficoltà , con una disoccupazione che si attesta al 21%, il doppio della media Ue, e che sale fino al 50% fra i giovani. Negli anni passati, grazie al boom dell’economia, nel paese sono arrivati milioni di immigrati, primi fra tutti rumeni che oggi rappresentano la prima comunità  stiraniera del paese con 864 mila presenze (la metà  è disoccupata), davanti ai marocchini (769mila) e ai britannici (390mila).
Sempre i rumeni rappresentano il 15,1% dei 5,7 milioni di immigrati presenti in Spagna, e il loro numero è aumentato di 33 mila unità  anche nel 2010, nonostante gli effetti della crisi avessero cominciato a farsi sentire già  in maniera pesante. Lo stop agli ingressi, approvato ieri dalla Commissione europea, non riguarderà  comunque i rumeni già  presenti nel paese.
Le spiegazioni fornite da Madrid alla fine hanno prevalso, ma senza convincere troppo Bruxelles. Come si capisce dalla dichiarazioni rese ieri dal commissario Ue agli Affari sociali Lazslo Andor, che a denti stretti ha ammesso: «Questa decisione è stata presa in ragione della situazione molto particolare che sta vivendo la Spagna in materia di occupazione, ma in generale sono convinto che la restrizione della libera circolazione dei lavoratori europei non è la risposta al problema della disoccupazione».
Parole dettate anche dalla paura che dopo la Spagna adesso anche altri paesi possano avanzare la stessa richiesta. Primi fra tutti Olanda e Danimarca.

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FORTEZZA EUROPA
Stop alla circolazione, i precedenti all’interno del territorio dell’Unione

 È la prima volta che un paese dell’Unione europea chiede di poter chiudere le proprie porte ai lavoratori di un altro paese membro, ma non è certo la prima volta che da parte di qualche governo si avanza la richiesta di una sospensione del Trattato di Schengen che prevede la libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Il caso più recente si è avuto lo scorso mese di maggio dopo che dalla Tunisia in rivolta contro Ben Ali sono cominciati a partire barconi carichi di tunisini in fuga. Sbarcati in Italia, la maggior parte di loro in realtà  voleva solo proseguire per la Francia dove era attesa da parenti e amici, Ma Parigi ha chiuso la frontiera appellandosi a motivi di ordine pubblico, gli unici che consentono una sospensione di Schengen. Sempre a maggio un deciso stop al Trattato è arrivato anche dalla Danimarca che ha sorpresa, e praticamente senza preavviso, ha chiuso i suoi confini e aumentato i controlli alle frontiere con Germania e Svezia. La decisione è stata giustificata dal governo di centrodestra di Copenhagen come conseguenza di un presunto aumento della criminalità  transfrontaliera, ma in realtà  il giro di vite sarebbe legato soprattutto a esigenze elettorali. I nuovi e più accurati controlli verrebbero infatti effettuati soprattuto in funzione anti-immigrazione, e questo per soddisfare le esigenze del Dansk folkepart, il partito del popolo, movimento di estrema destra alleato con il premier Lars Lokker Rasmussen che raccoglie i suoi voti principalmente nelle periferie. Un alleato prezioso, specie in vista delle prossime elezioni politiche previste in Danimarca per il prossimo 12 novembre.


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