La sinistra si dimette

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 ROMA.Parafrasando Marchionne, ieri un’altra opposizione si sarebbe dimessa o comunque avrebbe avuto il buon gusto di non esibire – in un momento di crisi nera, borse al tracollo e mercati impazziti – il suo solito repertorio. Inconcludente e politicista né più né meno di quello del premier.

Svolta politica ma anche governo di unità  nazionale, tregua tra le parti ma anche elezioni immediate, via Berlusconi ma anche no. Parafrasando questa volta Bersani, un passo avanti ed uno indietro così che alla fine le posizioni restano le stesse.
Parla subito dopo gli osanna che hanno accompagnato l’intervento di Alfano, il segretario del Pd Pierluigi Bersani e la scaletta non gli giova. «Di fronte alla richiesta di dimissioni da parte delle opposizioni – aveva appena tuonato il neo segretario del Pdl – noi restiamo sgomenti. Da quando in qua sono i mercati a dover scegliere i governi?»
Un colpo basso cui i banchi del centrosinistra reagiscono poco e male. Qualche borbottio ma poi più nulla perché cosa gli rispondi a chi ti dice che «i governi tecnici non hanno niente a che fare col popolo». Tenta il recupero Bersani ma a parte la solita frase che si vorrebbe ad effetto – «O sono su Marte io o lo è il presidente del Consiglio» – non va molto oltre incastrato com’è tra i desiderata delle diverse anime del suo partito e i continui richiami all’unità  nazionale del Presidente Napolitano. Forse ad un eventuale governo di transizione – tecnico o politico – Bersani c’aveva pure pensato ma poi arriva Veltroni che sollecita «svolte radicali» e infine ci si mette anche il Quirinale che a tutti chiede coesione per fronteggiare la crisi.
Altro non può fare il segretario del Pd in questo gioco di parti che chiedere le dimissioni (finte) di un presidente del Consiglio che ha tenuto un discorso (finto) di fronte a un Parlamento (finto). Se il premier farà  un passo indietro noi faremo un passo avanti e che questo non venga interpretato come un attentato alla stabilità  del Paese. La crisi c’è – dice Bersani a differenza di Berlusconi – ma poi, esattamente come il premier, di proposte concrete non ne parla.
Ad avere le idee più chiare sembra essere invece illeader dell’Udc Pierferdinando Casini che ligio alle regole del cerimoniale si dice, nell’ordine, favorevole all’armistizio richiesto da Napolitano, favorevole a un governo tecnico e pronto ad accogliere Silvio Berlusconi in quello stesso Governo: «Non è detto che la fine di una stagione politica significhi la fine del berlusconismo». Scene di repertorio che offendono un paese che la crisi la sta vivendo, eccome, sulla sua pelle.
Berlusconi «dimettiti», dice Bersani ma non si sa per fare cosa. Berlusconi «resta» dice Casini e nemmeno qui si sa per fare cosa.Parlate e sarete ascoltati, aveva detto ieri il premier con spirito ecumenico: «Il Governo non resterà  sordo alle vostre proposte se animate da spirito patriottico». Ma di proposte dall’opposizione non ne arrivano. Fatta eccezione per quella di Antonio Di Pietro che al Colle chiede di sciogliere le Camere e di andare subito alle elezioni.
E Bersani, sempre più confuso, risponde all’appello: «Se Di Pietro non ha firme a sufficienza parli con noi. Si può dubitare che vogliamo far cadere il Governo?».


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