La Silicon Valley cambia obiettivo il futuro digitale è negli smartphone

by Sergio Segio | 17 Agosto 2011 6:45

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New York. Il re dei motori di ricerca conquista quello che fu uno dei pionieri dello sviluppo dei telefonini. Ma la sfida da 12,5 miliardi che Google lancia con l’acquisizione di Motorola è molto di più. È l’inizio una nuova fase nella guerra per la conquista dell’economia digitale.
È la fine accertata della centralità  del computer, sempre più sostituito dallo smart-phone e dai tablet come l’iPad per molte funzioni essenziali. È un omaggio alla genialità  di Steve Jobs, il creatore di Apple: perché con questa mossa Google si mette in diretta concorrenza e soprattutto copia sfacciatamente la strategia di Apple. E’ una battaglia tra giganti e tra vicini di casa: Google ha il suo quartier generale (Googleplex) a Mountain Valley, mentre Apple è a Cupertino, due località  della Silicon Valley californiana a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra.
Più che distretto industriale, “fabbrica del futuro”: la Silicon Valley continua ad essere il crocevia dove si disegnano nuovi modi di vita e di consumo nella società  dell’informazione, partono ondate di innovazioni, si consumano parabole veloci di ascesa e declino. Oggi la parola d’ordine è questa: il futuro è nel “mobile computing”. Che cosa significa? Che la potenza dei computer, desktop “da tavolo” o laptop portatili, possiamo averla a portata di polpastrello e di pollici su un gadget che entra nelle nostre tasche o nelle nostre borse. Un esercito crescente di consumatori, non solo giovani, “pretende” di avere sul proprio smart-phone tutte le funzioni essenziali che un tempo erano disponibili sul computer, con la stessa potenza e velocità . Nell’era dei computer ci furono due grandi tentativi di costruzione di un monopolio: prima da parte di Microsoft attraverso l’ubiquità  del suo software (negli anni Novanta e all’inizio del nuovo millennio), poi nell’ultimo decennio da parte di Google attraverso la superiorità  del suo motore di ricerca. Sembrava invincibile Google, e invece ha subito assalti che l’hanno costretta a battaglie difensive. Da un lato Facebook ha aggirato la centralità  del motore di ricerca dimostrando che una parte del popolo di Internet effettua le sue ricerche attraverso il passaparola delle reti sociali. D’altro lato, Apple con il successo mondiale di tutti i suoi gadget ha indicato un futuro dove iPhone e iPad potranno sostituire il motore di ricerca. E quel mondo Steve Jobs lo ha “blindato” attraverso una serie di barriere: è il modello “proprietario” per cui certe applicazioni sono disponibili solo su iPhone e iPad, non si convertono per altri gadget di marche concorrenti.
Larry Page, uno dei due co-fondatori di Google che è tornato ai comandi come chief executive, non ha difficoltà  ad ammetterlo: «Anche se ho un computer vicino a me, tengo sempre gli occhi incollati al mio cellulare». L’acquisizione di Motorola deve servire a Google per recuperare il ritardo su Apple proprio su quel terreno. Il software che Google mette già  a disposizione di tutte le marche partner di cellulari, cioè Android, si sposerà  con lo hardware Motorola per la produzione di telefonini e “tablet” cioè “tavolette”, lettori digitali: il nuovo mercato aperto da iPad e che sta crescendo a vista d’occhio. E’ la massima acquisizione mai realizzata da Google, e Barack Obama non sarà  contento: purtroppo è il segnale che in questa fase le multinazionali americane sedute su una montagna di cash preferiscono giocarsela nel domino delle fusioni-acquisizioni alla rincorsa della leadership di mercato, anziché in un’espansione classica e foriera di nuove assunzioni. Il terzo attore di questo scontro fra titani è la “vecchia” Microsoft (s’invecchia presto nell’economia digitale) che ha una partnership strategica con Nokia ma offre a tante altre marche il suo software Windows per cellulari.
E’ impressionante la rapidità  con cui Steve Jobs ha rivoluzionato abitudini di massa, ha ridisegnato i mercati, ha sconvolto i rapporti di forze: fino a diventare la prima azienda del mondo per capitalizzazione sorpassando la compagnia petrolifera Exxon a Wall Street (e almeno questo è un buon segnale per Obama: nel capitalismo della West Coast le idee valgono più del petrolio).
Un altro aspetto della sfida è la guerra dei brevetti. In un settore dove la competizione per allargare le proprie quote di mercato s’intreccia con cause antitrust, spionaggio industriale, contraffazione, è cruciale possedere un ricco “portafoglio di brevetti”. Motorola, scampata per un soffio al fallimento, ne porta in dote ben 17.000. Sono altrettante linee difensive in una guerra che è economica, industriale, ma anche giuridica e combattuta con stuoli di superavvocati davanti a tutti i tribunali del mondo, o agli antitrust americano ed europeo.
Steve Jobs è convinto che di una sorta di spionaggio industriale nei suoi confronti sia stata protagonista proprio Google. Fino a pochi anni fa l’ex chief executive di Google, Eric Schmidt, sedeva nel consiglio d’amministrazione di Apple perché tra le due imprese c’erano proficue collaborazioni. Ora Google copia da Apple un’impostazione strategica fondamentale: una volta acquisita Motorola e potendo quindi “fabbricarsi in casa” i propri telefonini, per Google diventa fortissima la tentazione di trasformare il suo Android da software “aperto” e disponibile a tante marche concorrenti, in un software “proprietario”. Cioè chiudendone la piattaforma, o sviluppando prestazioni particolari che non saranno più disponibili alle marche partner, diventate concorrenti. E’ il modello del cyber-universo chiuso e autoreferenziale, che tanto piace a Jobs (o a Mark Zuckerberg Facebook). Non tutti hanno il suo talento nel catturare centinaia di milioni di consumatori dentro le regole esclusive di quel gioco. E comunque nella Silicon Valley vincitori e vinti cambiano ad ogni turno, la distruzione creatrice del capitalismo genera ondate di innovazioni a getto continuo, e chi si siede è perduto.

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