La protesta dei sindaci

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MILANO. Uno sconto di due miliardi sui tagli agli enti locali e una mezza marcia indietro sull’eliminazione dei piccoli comuni. La lunga giornata dei sindaci si è conclusa con una cocente delusione. Neppure la più grande manifestazione bipartisan promossa dall’Anci a Milano è riuscita a far cambiare idea al ministro Tremonti. Quando ieri mattina i sindaci hanno riempito il Pirellone si aspettavano di avere già  in tasca almeno un dimezzamento del taglio di 6 miliardi ai municipi che era previsto dal decreto di Ferragosto. Ma la gran parte dei sindaci italiani non era disposto ad accontentarsi di questa mediazione al ribasso. Tutti chiedevano che i tagli fossero azzerati perché questa è la terza manovra in pochi mesi che si abbatte pesantemente sugli enti locali obbligandoli a tagliare i servizi. E invece, nonostante uno straodinario corteo, è andata ancora peggio di quanto previsto.
Alla fine della giornata i comuni hanno annunciato che la protesta continuerà  e si sono già  dati appuntamento oggi a Roma. Le sorprendeti conclusioni del vertice di Arcore hanno deluso persino il prudente presidente facente funzione di Anci Osvaldo Napoli. «Dal vertice è venuto qualche timido riconoscimento per la situazione finanziaria degli enti locali – ha dichiarato in serata – ma in attesa di conoscere i dettagli dell’accordo, il giudizio si configura più negativo che positivo». Eppure nei giorni scorsi era stato proprio Napoli a condurre una trattativa interna alla maggioranza che sembrava avere strappato a Tremonti almeno il dimezzamento dei tagli ai comuni. E se anche lui è deluso, significa che i sindaci italiani sono davvero arrabbiati. Tanto che Napoli poco dopo si corregge: «Le notizie più precise che arrivano dal vertice riferiscono di una riduzione dei tagli agli enti locali di 3 e non di 2 miliardi». Ma ormai nessuno si fida più.
Eppure la giornata era cominciata alla grande, tre miliardi sembravano già  in cascina e si pensava di poter puntare alla totale abolizione dei tagli. La sala Gaber del Pirellone dopo pochi minuti è stracolma. Molti sindaci non riescono neppure a entrare. Lo stesso Napoli si mostra sicuro e combattivo: «Tremonti stavolta dovrà  capire che le richieste a saldi invariati che arrivano dalla maggioranza dovrà  subirle». Ma la sua linea moderata, giocata sul filo di lana nel tentativo di bilanciare il braccio di ferro tra Pdl e Lega, non piace quasi a nessuno. I sindaci non sono venuti a Milano per accontentarsi.
Bastano pochi minuti per capire che bisogna uscire e portare la protesta nelle strade. Non si era mai vista la polizia scortare un corteo di due mila persone con la fascia tricolore e i gonfaloni in spalla. In testa ci sono Giuliano Pisapia e Gianni Alemanno, il sindaco leghista di Varese Attilio Fontana e Piero Fassino, il sindaco di Verona Flavio Tosi e il sindaco di Genova Marta Vincenzi. Ma soprattutto ci sono i sindaci di tanti comuni medi e piccoli giunti da ogni regione d’Italia, specialmente dal nord che tanto dovrebbe stare a cuore ai capi leghisti ospiti del premier. «Lena c’è», è la scritta fatta con un pennello su uno straccio. “Azzano c’è… ancora”, recita un altro cartello. Tre sindache portano un drappo nero al posto dello striscione. Sono a lutto. Ma il clima è tutt’altro che triste. A passo spedito si corre verso piazza Scala. Davanti al comune di Milano è pronto un piccolo palco. «Siamo noi, siamo noi la risorsa dell’Italia siamo noi», cantano i primi cittadini come allo stadio. In testa un cappellino giallo. Al microfoni i rappresentanti dei piccoli comuni chiedono l’abolizione di quell’articolo 16 che vorrebbe fare piazza pulita del loro lavoro. Poi tocca ai big. Pisapia e Alemmano denunciano l’impatto disastroso della manovra sui loro bilanci. Applausi per tutti. Si canta l’inno di Mameli. La festa però finisce qui.
Una delegazione dei sindaci va in prefettura ad aspettare Bobo Maroni. Il ministro che più si era battuto per i comuni è in arrivo da Arcore. I sindaci si aspettano buone notizie. Invece mezz’ora dopo escono con la faccia scura mentre Maroni sgomma di nuovo verso la villa di Berlusconi. «Non basta ridurre l’impatto di questa manovra. Bisogna rivederla, anzi azzerarla. Altrimenti non siamo nelle condizioni di sostenibilità  economica per garantire i servizi. Maroni porti chiaro il messaggio al governo». Le parole dure del sindaco Alemanno sono il segnale che non è andata bene. I tagli non sono azzerati, neppure dimezzati. I piccoli comuni sono salvi ma sono obbligati ad accorpare le funzioni, ridurre i membri dei consigli e tagliare i gettoni di presenza. «Un pasticcio – commenta Mauro Guerra, coordinatore Anci dei piccoli comuni – non si possono imporre accorpamenti dall’alto senza conoscere il territorio. Quanto alla riduzione del gettone è ridicolo, si risparmiano 17 euro per consigliere».
Il bilancio di una giornata bella ma finita male è tutto nel commento del sindaco di Milano. «I comuni ancora una volta vengono colpiti da scelte miopi e irresponsabili – dichiara Giuliano Pisapia – Contro l’accetta del governo l’unica soluzione è la mobilitazione permanente dei sindaci».


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