La patrimoniale ci consentirà  di Ridurre subito il Debito

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Dimenticava che le garanzie sono tali se firmate dai garanti, e qui di firme non se ne sono viste. I mercati — e le code di italiani fuori dalle banche di Lugano — gliel’hanno ricordato.
Sotto il profilo sociale, troppi politici ed economisti non si rendono conto del potenziale di rivolta violenta connesso al rilancio delle diseguaglianze sociali e alla destrutturazione delle forme di solidarietà  esistenti, per quanto discutibili. Un pericolo tanto più grande in un Paese che ha avuto il fascismo e il terrorismo rosso.
Sotto il profilo politico, non si ascoltano proposte diverse da quelle in voga negli anni 90. Trascuriamo il fatto che la Grande Contrazione, per dirla con Carmen Reinhart, è iniziata negli Usa e in Gran Bretagna, Paesi deregolati a bassa spesa pubblica e modesto prelievo fiscale. Che oggi stentano. Data l’usura di Silvio Berlusconi, chiediamo una nuova leadership. Ma per fare che cosa? Citiamo i grandi del passato, ma Reagan e Roosevelt, De Gasperi e Ciampi non sono uguali. E forse ci vuole un pensiero nuovo.
Incapaci di misurarci sui contenuti, ci illudiamo che la rivoluzione liberale passi per la riforma dell’articolo 41 della Costituzione. Tutto dovrebbe essere libero tranne ciò che vieta la legge ordinaria? A parte l’irrilevanza della cosa (l’art. 41 non impedì il Boom degli anni 50), di questo passo smonteremmo la logica della Costituzione che è quella di porre dei vincoli al legislatore. Se un domani Nichi Vendola o Francesco Storace vincessero le elezioni, l’articolo 41 riformato esporrebbe l’impresa assai più di oggi a manipolazioni neocomuniste o neocorporative. Capisco che sia più impegnativo ragionare del Trattato di Maastricht dopo vent’anni, mettendo in relazione gli effetti della libera circolazione dei capitali sull’economia reale, sulla distribuzione del reddito e sul rendimento dei risparmi. Ma le nuove leadership saranno tali se ci diranno qualcosa di grande. Di fronte a chi ripropone la minestra riscaldata dell’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, Pietro Ichino rilancia la flexsecurity scandinava. Si intuisce la consonanza con la Bce. Ottimo, purché la Bce o altri spieghino con quali risorse la si finanzierebbe e quale sarà  il saldo finale per le persone.
Diciamoci le cose come stanno. Con l’intervento della Bce e delle banche centrali nazionali a tutela del nostro debito pubblico, viene meno l’indipendenza delle autorità  monetarie dai governi. Da noi era stata decisa trent’anni fa con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. E anche quella scelta meriterebbe un bilancio. Ma in Italia sta venendo meno la sovranità  nazionale. Poco male, anzi bene se la cessione di sovranità  fosse comune agli altri soci della moneta unica e concertata. Gli Stati uniti d’Europa potrebbero governare l’euro e il debito pubblico con la stessa libertà  di Usa, Gran Bretagna, Cina anziché restare ingessati negli schemi fissi di Maastricht. Ma oggi l’Italia viene commissariata attraverso lettere confidenziali di capi di Stato esteri e del banchiere centrale europeo. L’opacità  non è mai democratica.
Non è detto che la supplenza della Bce al Fondo salva Stati ancora da finanziare abbia esiti migliori della manovra di Tremonti. In costanza di regole deboli, la moneta virtuale degli speculatori potrebbe rivelarsi più forte. Ma se pure la diga tenesse, rimarrebbe la domanda: per quanto tempo resisterà  con una tale massa di debito che preme?
La sicurezza e la libertà  dell’Italia oggi coincidono con la sua capacità  di conservare la fiducia dei creditori. E allora chiediamoci quale sia l’azienda debitrice più rassicurante: quella che, con il gerente di prima, promette il taglio dei costi e l’aumento del fatturato o quella che, con un gerente nuovo, non compromesso con la precedente stagione, promette sì minori costi e maggiori ricavi ma intanto trova il modo di rimborsare subito un 30% del proprio debito?
Posso capire, ma neanche troppo, la reticenza dei leader politici: in privato considerano un’imposta patrimoniale fatale per ridare allo Stato la capacità  di investire laddove il mercato non ce la fa solo (così avvenne negli anni 50!), e in pubblico, fino a elezioni avvenute, la negano. Sul Corriere hanno avanzato interessanti idee in materia personaggi dalle storie assai diverse come Giuliano Amato, Pellegrino Capaldo e Pietro Modiano. Sul Giornale si è letto perfino un Vittorio Feltri disposto a ragionarne. Restano molti punti da elaborare: come ridurre il numero degli evasori in grado di sfuggire al prelievo, come graduarlo in modo che non sia socialmente iniquo e dunque meno depressivo dei consumi, come avere i migliori effetti sui tassi e sulle successive quotazioni dei titoli e come eventualmente associarvi il consolidamento di parte del debito con obbligazioni di lunghissima durata destinate al sistema finanziario e legate al patrimonio pubblico vendibile. C’è da studiare. E c’è un ruolo speciale per chi più ha avuto dalla vita.
Dovremo superare le pensioni di anzianità  per arrivare al pareggio nel 2013? Non c’è da gioirne. Ma temo sia inevitabile. E però che cosa mette sul tavolo chi, per le più diverse ragioni, non ha interesse all’anzianità ? Alla fine si è mai vista una società  con troppi debiti che ottiene fiducia dai creditori senza che i suoi soci più ricchi garantiscano un aumento di capitale? Orrore? Beh, il crollo delle Borse, la svalutazione dei titoli di Stato, la caduta dei valori immobiliari reali una patrimoniale sui generis ce la stanno già  infliggendo da mesi.


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