La marcia su Roma dei piccoli Comuni “Senza di noi si cancella la storia”
ROMA – Non c’è solo Milano, alle prese con i finanziamenti mancati dell’Expo. O Roma, con i suoi 270 milioni di tagli in due anni. A protestare – forte – contro la manovra del governo che vuole cancellarli sono ora i piccoli comuni. Piccolissimi, a volte, ma orgogliosi della loro storia e della loro autonomia. Sono quasi duemila, e l’Anpci, che li riunisce, ha già fissato per protesta una minacciosa “marcia su Roma” per il prossimo 26 agosto. Gonfaloni, fasce tricolori alla mano, bandiere a mezz’asta sui municipi, i sindaci sono pronti a riconsegnare le loro chiavi e i loro simboli ad un governo che vuole accorpare tutti i comuni sotto i mille abitanti. Senza alcuna rassegnazione però. Il primo cittadino di Acceglio, 178 anime in provincia di Cuneo, ha scritto al sindaco di Lampedusa offrendo ospitalità a 830 profughi. Così il paese supererebbe quota mille, la soglia della salvezza. A Filettino, il comune più alto del Lazio, stanno addirittura pensando di trasformarsi in principato. E hanno offerto il “posto” di principe a Emanuele Filiberto di Savoia, che però definisce l’impresa «difficilmente praticabile». In Piemonte invece i 598 comuni che rischiano di saltare – è la regione più colpita – hanno già organizzato una protesta il 22 agosto a Torino.
I fratelli maggiori – i comuni riuniti nell’Anci, che non rischiano di sparire ma di non poter più garantire i servizi essenziali ai loro cittadini – saranno invece a Roma il 29 agosto. E si muovono anche le province: l’Upi riunisce mercoledì prossimo i presidenti di quelle sotto i 300 mila abitanti e i 3 mila chilometri quadrati.
Non c’è tempo da perdere, perché il decreto si definirà una volta per tutte al Senato a partire dalla prossima settimana: i varchi nelle decisioni della maggioranza vanno trovati entro la fine del mese. Vittime della polemica sui costi della politica, gli enti locali sono convinti che il governo stia sbagliando bersaglio. Si concentri sui costi dei Palazzi, è il coro unanime. Raccolto nel Pd da Walter Veltroni, che chiede al suo partito di dare battaglia su questo punto in modo netto e inequivocabile.
Con una lettera ai capigruppo di Camera e Senato l’ex segretario propone che il dimezzamento dei parlamentari venga posto dal Pd come condizione imprescindibile per votare l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. Dario Franceschini e Anna Finocchiaro rispondono che sì, loro sono d’accordo, l’idea è già stata avanzata e portata avanti dal partito. Sullo scambio però non si sbilanciano. Sembra così riaffacciarsi la spaccatura già emersa sulla cancellazione delle province e sulla revisione del porcellum. Veltroni chiede al Pd messaggi più chiari, ma nel partito c’è chi giudica i suoi appelli solo un eccesso di protagonismo.
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