La mala depurazione inquina la Calabria

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 REGGIO CALABRIA.Un mare di illegalità , una situazione drammatica, un’emergenza quotidiana. «La Calabria è al terzo posto nella classifica del mare illegale» denuncia Legambiente nel suo annuale dossier “Mare Monstrum 2011” che fotografa la salute delle acque del 2010. Oltre 1700 violazioni, pari al 14,8% del totale nazionale, 558 infrazioni accertate, 680 persone arrestate, 194 sequestri effettuati. Per ogni chilometro di litorale sono 2,4 le infrazioni contro una media nazionale di 1,6.

Un sistema al collasso
Lungo i 700 km di costa calabresi una miriade di scarichi abusivi, cattiva depurazione e cemento da spiaggia vanno a braccetto. Ma il vero scandalo riguarda la depurazione. Solo il 37,4% dei cittadini è servito da un sistema di filtraggio adeguato. Sostiene Legambiente nel dossier Acque Nere: «Il mare calabrese viene continuamente violato ed avvelenato. Ad ogni estate si presentano i problemi legati al trattamento delle acque. Mare marrone, miasmi insopportabili, fiumi e mari trasformati in fogne a cielo aperto». Insomma, il sistema è al collasso. E la stagione estiva in corso è finanche peggiore. Prendiamo ad esempio Reggio Calabria, che con 694 reati accertati ha il record in materia di depuratori, scarichi fognari e inquinamento da idrocarburi. Una vera fogna con vista sullo Stretto è quella adiacente al lido comunale “Genoese Zerbi”, al centro della città , molto frequentato dai bagnanti e da sempre considerato, nonostante il degrado, la struttura balneare pubblica cittadina più importante e prestigiosa. Ma nessun cartello che indichi ai bagnanti il divieto di balneazione. Una storia che si ripete ogni anno e puntualmente denunciata dal capogruppo consiliare del movimento Energia Pulita, Antonino Liotta e da Massimo Canale, coordinatore dell’opposizione.
Per verificare la denuncia di Energia Pulita basta poi collegarsi al sito di Portaleacque.it del Ministero della Salute per accorgersi subito che non solo il lido comunale ma anche le acque antistanti il Circolo Velico (più di un chilometro di costa sempre al centro della città ) sono praticamente out per la balneazione a causa della presenza eccessiva di batteri fecali. «Se le acque non sono balneabili – spiega Eleonora Uccellini di Energia Pulita – i cittadini devono essere informati e il Comune ha l’obbligo di individuare le zone e segnalarle con appositi cartelli». A ciò bisogna aggiungere, secondo i dati del portale internet, i 500 metri di costa adiacenti al torrente Annunziata, i 1100 metri di costa del circolo nautico, oltre a diverse zone periferiche, ma sempre affollate di bagnanti, di Pellaro Lume, Catona, Gallico, tutte zone ben identificate dai tecnici dell’Arpacal e censite secondo il nuovo schema di valutazione delle acque di balneazione. Tutte zone classificate con una x che indica l’acqua «di qualità  scarsa» e quindi con valori molto alti per quanto riguarda la presenza di escherichiacoli e enterococchi. E malgrado tutto considerati balneabili.
La scimmietta
I guai maggiori riguardano, però, la costa calabrese che affaccia sul Tirreno. Con depuratori vecchi e malandati, senza manutenzione o in stato di completo abbandono. Un disastro fin troppo evidente, dal vibonese fino al Tirreno cosentino. Tuttavia la Regione e il suo presidente Peppe Scopelliti (unitamente ai sindaci della zona) come le tre scimmiette fanno finta di non vedere e di non sentire.
Le larghe chiazze marroni che sono venute a galla tra Paola, Fuscaldo e Amantea lo hanno, però, indotto ad effettuare un sopralluogo sull’area del paolano. Secondo il Comune i depuratori funzionano e sono in regola e «tutto questo può dipendere solo dagli scarichi abusivi». E così Scopelliti, insieme all’assessore all’Ambiente Franco Pugliano, dieci giorni fa ha effettuato una ricognizione in elicottero del Tirreno cosentino. «Nel corso della verifica – ha dichiarato il presidente – non sono emerse situazioni anomale, a conferma dei rilievi effettuati periodicamente dall’Arpacal che quotidianamente aggiorna il proprio sito internet per informare i cittadini e le amministrazioni sullo stato di salute del mare calabrese. Allo stato attuale vengono confermati i dati che certificano oltre il 90% di balneabilità  delle coste regionali». Nonostante le (grottesche) rassicurazioni, restano le macchie in mare e le proteste dei turisti. «La verità  è che sono degli incapaci – tuona Silvio Greco del movimento Slega la Calabria, biologo marino già  assessore all’Ambiente – il sistema depurativo è praticamente bloccato da quando si sono insediati. Non è stato effettuato alcun controllo, non è stata esercitata nessuna vigilanza e le ditte a cui avevamo affidato i lavori si sono fermate perché Scopelliti e i suoi non hanno più seguito i lavori predisposti. Il funesto risultato è sotto gli occhi di tutti. Nessun contratto firmato, nessun bando emanato, un’inerzia mista ad incapacità  che sta pregiudicando la risorsa più importante che abbiamo, il mare. I dati Arpacal che la destra millanta sono quelli degli anni precedenti e, come tali, vanno presi con le molle. In realtà  per loro meno se ne parla e se ne scrive e meglio è. Basti pensare all’ostracismo che mostrano verso Il Quotidiano della Calabria». Intanto, la Procura della Repubblica di Paola, coordinata dal procuratore capo Bruno Giordano, prosegue nel fitto monitoraggio dei depuratori della costa, avviato già  dallo scorso mese di marzo e anche la Procura di Crotone ha avviato accertamenti sui rifiuti riversati in acqua. Anche nella Riserva marina di Capo Rizzuto la situazione ha raggiunto i livelli di guardia: divieto di balneazione per la spiaggia di Capo Piccolo perché nei pressi c’è un torrente che scarica liquami fognari in mare.
D’altronde, sin dal 2009 l’Unione Europea aveva aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per deficit depurativo con ben 22 comuni calabresi nella lista di quelli inadempienti. Per di più, i dati raccolti da Legambiente rivelano una condizione inquietante e le indagini della magistratura descrivono una situazione disarmante: manutenzione degli impianti inesistente, scarichi non allacciati perché all’interno di lottizzazioni abusive senza rete fognaria, versamenti illegali di fanghi di lavorazione industriale.
Più cemento per tutti
Un muro di cemento illegale sta soffocando l’intera Calabria, seconda regione per numero di reati edilizi. «Su un totale di 715 km di costa – secondo Legambiente – gli abusi sono lievitati in maniera esponenziale nel 2010, con 700 infrazioni accertate, 610 sequestri eseguiti, 600 persone arrestate». Dai palazzi condominiali alle villette, dai camping ai villaggi turistici, fino alle aree demaniali “privatizzate” e alle costruzioni mai terminate, il cemento sui litorali è una valanga senza fine. C’è poi la piaga degli ecomostri come quello di Fiuzzi a Praia a Mare, l’Aviosuperfice di Scalea, il cosiddetto Alveare di Copanello, per proseguire con il cemento da spiaggia della Palafitta di Falerna e continuare con le 700 ville delle ‘ndrine nell’Area Marina protetta di Capo Rizzuto. Più a nord, a Capo Colonna, c’è la deturpazione dell’omonimo Parco archeologico con ben 40 manufatti abusivi. Insomma, di tutto e di più: il mare è inquinato, il turismo è in panne, la Calabria affonda. Riusciranno prima o poi i calabresi ad invertire la rotta per una “rivoluzione verde”?


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