by Sergio Segio | 28 Agosto 2011 6:35
IL CAIRO. La stazione della metropolitana di Mar Girgis è la porta che apre ad mondo molto diverso dal resto del Cairo. Le rovine della Fortezza di Babilonia custodite nel Museo Copto sono la memoria storica della minoranza cristiana egiziana, la più ampia del Medio Oriente. Ma da quelle parti avvengono anche incontri informali, talvolta segreti, tra esponenti copti per fare il punto sulla situazione. I temi sono tanti: le discriminazioni palesi o striscianti a danno dei cristiani, il rischio crescente di violenze a danno della comunità , la crescita dopo la rivoluzione di gennaio dell’influenza dei Fratelli musulmani e dei salafiti portatori di una idea molto diversa di cittadinanza, i permessi non accordati alla costruzione di chiese. Senza dimenticare la misteriosa vicenda di Waffa Kostantine e Kamilia Shehata, le due copte convertite all’Islam e che per questo motivo, si dice, sarebbero tenute sotto custodia dalla Chiesa, alimentando lo scontro con i salafiti più accesi.
Eppure la caduta del raìs Hosni Mubarak, per trent’anni «protettore» (intermittente ed ambiguo) della minoranza cristiana, non ha significato soltanto l’aumento delle ansie per i cristiani d’Egitto. La libertà di pensiero, di espressione, di manifestazione politica e sociale di cui godono ora gli egiziani – uno dei pochi cambiamenti veri avvenuto dopo la rivolta del 25 gennaio – ha dato forza e consistenza anche al dibattito interno all’ampia comunità copta. Ed inevitabilmente l’accento è tornato su di un nodo spinoso, motivo un confronto tra copti che dura da anni: il diritto al divorzio e a risposarsi negato dall’84enne papa Shenouda III (Nazeer Gayed), fino a otto mesi fa interlocutore privilegiato di Mubarak (che mise fine ai provvedimenti restrittivi nei suoi confronti decisi dall’ex presidente Sadat). Ultraconservatore ed impermeabile a qualsiasi cambiamento, Shenouda III dal 1971 governa i fedeli con il pugno di ferro. Per il leader religioso copto il divorzio è semplicemente «adulterio».
Il 15 settembre centinaia, forse migliaia, di egiziani copti che rivendicano il diritto a divorziare e a risposarsi, si ritroveranno di fronte al ministero della giustizia per presentare le «dimissioni» dalla comunità (mantenendo però la loro identità cristiana), se non verranno accettate le loro richieste. A cominciare dalla reintroduzione nell’ordinamento egiziano dei regolamenti del 1938 che consentivano ai copti di divorziare e di risposarsi senza il permesso della Chiesa. «Uscire da una comunità religiosa è legittimo, la nostra Costituzione sancisce il diritto alla libertà di pensiero quindi si può fare», spiega l’avvocato Tarek Ramadan del “Centro per l’assistenza legale alle donne”, «quando un individuo abbandona la sua comunità religiosa e non ne sceglie un’altra, diventa parte di quel gruppo di cittadini con “denominazione religiosa sconosciuta” (come i Bahai, ndr) e il rifiuto della Chiesa in questo caso è irrilevante di fronte alla legge». E’ nato anche un movimento, «Diritto alla Vita», impegnato da mesi a raccogliere le firme a favore del divorzio per i copti e, più di tutto, per dare appoggio morale e voce alle coppie che intendono separarsi. Il problema è molto sentito, dati non ufficiali dicono che decine di migliaia di copti vorrebbero divorziare così come possono fare i musulmani (ma con pesanti discriminazioni per le donne) e che spingono per l’introduzione da parte dello Stato del matrimonio civile. Nell’Islam, peraltro, il maazoun, l’ufficiale di Stato civile per i matrimoni dei musulmani, è un funzionario pubblico, quindi l’unione viene registrata subito anche come matrimonio civile presso le autorità competenti. I cristiani invece devono registrare il loro matrimonio religioso davanti alle autorità civili affinché venga considerato legale. Una beffa: quando poi decidono di separarsi sono bloccati dal divieto della Chiesa perché la loro unione viene considerata solo religiosa. Penalizzare, come spesso accade, sono soprattutto le donne. Non poche in questi anni hanno scelto addirittura di convertirsi pur di poter divorziare (è una delle pochissime possibilità riconosciute da Shenouda III). «Dobbiamo affrontare la Chiesa ma anche lo Stato che vorrebbe presentarsi come parzialmente laico ma sente sempre di più le pressioni crescenti delle religioni», dice Karima Kamal, autrice del libro “Talaq al-Aqbat” dedicato al tema del divorzio negato.
Da parte sua Shenouda III si sente tranquillo, crede di avere il sostegno della maggioranza dei copti. Lo scorso anno furono in tanti a schierarsi contro la sentenza della Corte Suprema Amministrativa che ordinava alla Chiesa di concedere il divorzio ad un cittadino copto, Hani Wasfi. «Ad eccezione di chi vorrebbe divorziare, molti copti credono che questa sia una battaglia fatta contro di loro e per questo appoggiano il papa», spiega ancora Karima Kamal, «il dibattito è ostaggio della radicalizzazione religiosa nel paese che riguarda anche i cristiani». Vogliono «svuotare» l’Egitto dai copti, dissero molti un anno dopo la sentenza della corte. Altri denunciarono «l’interferenza» dello Stato. La Chiesa «non accetta niente che vada contro la Bibbia», proclamò da parte sua Shenouda III, «il tribunale ha emesso un giudizio civile, ma il matrimonio è un atto religioso. Centinaia manifestarono davanti alla Chiesa di San Marco mostrando striscioni con la scritta «’No’ al risposarsi; seguiamo gli insegnamenti della Bibbia», e «Appoggiamo il nostro patriarca nel rifiuto di una sentenza contro gli insegnamenti cristiani». Per l’attivista marxista Aida Seif al Dawla lo scontro sul divorzio all’interno della minoranza copta, è rischioso per la stabilità sociale e potrebbe dare ulteriori argomenti alla propaganda degli esponenti religiosi più fanatici. «Tanti copti notano che le corti civili non si permettono di intervenire nella Sharia islamica e si domandano perchè mai lo Stato dovrebbe perché farlo nei riguardi della loro religione» dice al Dawla «e con il dibattito in corso da mesi sull’Egitto come Stato islamico o Stato civile, gli islamisti già alzano le barricate sostenendo che il matrimonio non religioso per i copti apre la strada anche a quello civile per i musulmani».
In questo clima si avvicina velocemente la scadenza del 15 settembre. Quel giorno davanti al ministero della giustizia potrebbero ritrovarsi non solo le migliaia di copti divorzisti che vogliono risposarsi ma anche le schiere che appoggiano Shenouda III. Il dibattito potrebbe degenerare in rissa, aggiungendo un nuovo scontro all’interno della popolazione egiziana, già frantumata dalla politica e dalla religione.
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