by Sergio Segio | 14 Agosto 2011 7:04
MILANO — «Bankitalia ha telefonato in Consiglio dei ministri per dire a Brunetta di tagliare le pensioni. Questi qui ci proveranno ancora e io lo dirò con chiarezza a Berlusconi che le pensioni non si toccano, sennò faccio saltare il governo». Umberto Bossi usa il piglio minaccioso. Parla da una baita sul monte Baldo, in Trentino, e aggiunge un carico da novanta: «Tremonti ha anche trovato un’idea sul Tfr per il raddoppio dello stipendio dei lavoratori. È un’idea per far rinascere l’economia dal basso perché quando i lavoratori hanno più soldi una parte li mettono in banca, ma una parte li spendono rimettendo così in moto l’economia. Abbiamo tre progetti per il rilancio dal basso». Di più, non vuole dire: «Ci sta pensando Tremonti, non posso svelare niente».
Poi, Bossi torna al nodo pensioni: «Questa settimana ho avuto paura che saltassero davvero. C’è stata una battaglia lunga tra me e Berlusconi. Alla fine, gli ho proposto di fare un patto: gli ho detto facciamo il ’16 che porta fortuna, dammi la mano e prometti che non tocchi più le pensioni». Un riferimento al fatto che l’avvicinamento dell’eta pensionabile femminile a quella maschile partirà nel 2016. Ammette Bossi: «È vero, ci saranno difficoltà per gli enti locali. Ma il mondo non è finito ieri, e il governo può intervenire. E poi, abbiamo anticipato il federalismo». Quanto alle Province, «abbiamo tagliato solo quelle piccolissime, se tagli Bergamo la gente prende i fucili». Insomma: «Bisognava fare questa manovra qui, pesantissima». Come spesso ormai accade, tra il pubblico c’è chi inneggia alla secessione: “«e non vogliamo essere travolti e sprofondare anche noi — è la risposta — è la via obbligata: esser padroni a casa nostra. Che il Paese non vada molto bene lo sanno tutti. Avete voluto l’Italia, adesso succhiatevela».
Ma ieri, nella Lega, è stato il giorno del disorientamento. Tanto che è dovuto intervenire duro Roberto Calderoli. Invitando i critici della «manovra dei sacrifici» ad «accomodarsi fuori dalla porta»: «La Lega ha fatto scelte sofferte e difficili, stando al governo e restandoci, pur di tutelare i cittadini dal rischio di perdere la pensione o di andare in banca e trovare i propri risparmi dimezzati. Per questo chi fa dei distinguo dalla linea del movimento, linea dettata da Bossi, si mette da solo fuori linea».
Una folgore indirizzata ai sindaci Flavio Tosi (Verona) e Attilio Fontana (Varese) che il loro pensiero sulla manovra non l’han certo mandato a dire. Il fatto che entrambi siano sostenitori di Roberto Maroni potrebbe far pensare a una divisione tra i due proconsoli leghisti. Ma la verità , come dice il primo cittadino di un piccolo Comune, è che «noi siamo sindaci. E i sindaci della Lega oggi si dividono in due: quelli che sono incazzati e lo dicono, e quelli che non lo dicono. Maroni c’entra nulla». In un successivo intervento, il ministro alla Semplificazione ha allargato la cerchia dei destinatari del messaggio: «Il mio è un avviso ai naviganti, dopo che ho letto dei distinguo da parte di alcuni nella Lega, ma anche da parte di alcuni ministri». Un riferimento, con ogni probabilità , all’arcinemico del Carroccio: Giancarlo Galan.
Ma in effetti, ieri, per i sindaci è stato il giorno dello sfogo. Il più amaro, quello di Franco Zorzo, sindaco di Tombolo nel Padovano: «La manovra umilia letteralmente i sindaci, la storia locale dei comuni del Nord, le tradizioni culturali e religiose». Ma a non tacere ci sono anche alcuni presidenti di Province destinate alla cancellazione, da Sondrio a Lodi. E gli ascoltatori di Radio Padania. Che protestano contro «l’alleanza con quello là …». E, soprattutto, non nascondono la grande paura: «Torneremo al tre per cento».
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