La grande caccia è aperta
E’ partita la grande caccia ma lui, il vinto Gheddafi, è duro a morire. Pur di prendere il Colonnello, vivo o morto (cosa è meglio: presentarlo dietro le sbarre con la divisa a righe o metterlo definitivamente a tacere?), la coalizione degli «umanitari» ha gettato ogni residuo pudore per il rispetto almeno formale della risoluzione 1973 del 17 marzo – quella che conferiva all’Onu il mandato di «proteggere i civili» di entrambe le parti «con tutti i mezzi». Eccetto che con le truppe sul terreno (un terreno che storicamente fa paura). Ora la Nato ha ammesso – e lo rivendica – la presenza di «truppe speciali» al fianco (alla testa?) degli insorti nella loro conquista di Tripoli.
E «special forces» sono impegnate nella grande caccia a Gheddati e ai figli partita da un paio di giorni in una Tripli ancora sconvolta dagli scontri e dalle «sacche di resistenza» dei lealisti (con morti per le strade, fosse comuni, ospedali in situazione «critica»). Sono inglesi, americani, francesi, qatarioti (e chi altri?) che vestono come arabi, imbracciano le stesse armi dei ribelli (ovvio, gliele hanno vendute o regalate loro). Aiutati dal cielo da un sofisticatissimo aereo-spia Usa soprannominato «the Hog», il maiale, e da un drone canadese, le teste di cuoio di paesi Nato danno in queste ore una caccia senza quartiere al raìs libico. Ufficialmente per la Nato Gheddafi non è mai «stato un bersaglio» ma nessuno a Londra, Washington o Parigi si nasconde l’importanza della sua cattura dopo che mercoledì sarebbe sfuggito per un pelo a un raid dei ribelli in una casa del centro di Tripoli e ieri veniva dato infilato, da solo o con alcuni dei figli, in «un buco» nel blocco di edifici circostanti il compound preso e saccheggiato di Bab al-Aziziya o in un quartiere di Tripli, Abu Salim, considerato una delle sue roccaforti. Così, via anche l’ultima foglia di fico: ieri il ministro degli esteri inglese William Hague ha ammesso che le famose/famigerate Sas britanniche, Special air service, sono «sul terreno» su ordine del premier Cameron (lo citava il Daily Telegraph).
Anche inesorabilmente sconfitto Gheddafi fa ancora paura, come se fosse tornato «il cavallo pazzo» degli anni ’70-’80. Per l’occasione si reincarnano anche vecchi fantasmi come Jalloud, l’ex numero due, fuori dalla politica da 20 anni e scelto dall’Italietta berlusconiana come sua carta (un due di coppe quando briscola è denari) per cercare di non restare tagliata fuori dalla divisione della torta. Jalloud, che dice di voler formare «un partito laico e liberale», ha detto al Times che Gheddafi è «talmente ubriaco di potere che si illude di poterlo riprendere una volta uscita di scena la Nato», e ha messo in guardia i ribelli che se non stanno attenti «si vestirà da donna e scapperà verso l’Algeria o verso il Ciad».
Il destino del Colonnello è segnato ma lui è duro a morire e Tripoli è ancora lontana dalle apparenze di una città «pacificata». Ierimattina una tv satellitare, al Urubah e qualche stazione radio vicine al regime hanno ripreso a trasmettere, dopo essere state messe a tacere il giorno prima. E hanno trasmesso un nuovo appello di Gheddafi, dal tono di sfida: un appello «alla resistenza» contro «i crociati e i traditori» e l’avviso che «la Libia non sarà mai né della Francia né dell’Italia».
Secondo gli insorti non è solo a Tripli che sono in azioni forze speciali britanniche e francesi, ma anche a Misurata, sistemate in una base nei pressi del porto di Kasa Ahmed, per preparare l’assalto finale su Sirte, la città natale la roccaforte popolare di Gheddafi. A un centinaio di km da Sirte erano segnalati scontri a colpi di missile, sulla città si stranno concentrando le residue forze lealiste (1500-2000 uomini), la Nato ha compiuto nuovi raid «per proteggere i civili», sembra che siano in corso negoziati fra i ribelli e i leader locali invitati alla resa.
La sorte della guerra è decisa ma la guerra non è finita e queste, a Tripoli e altrove, sono le ore più pericolose (come dimostra la vicenda dei 4 giornalisti italiani). Le ore della resa dei conti, delle vendette. Le ore del vuoto di potere. Ieri, nella conferenza stampa congiunta con Berlusconi a Milano, Mahmoud Jibril, il primo ministro (e unico visto che il presidente del Cnt, Mustafa Jalil, ha sciolto il governo dopo l’assassinio del «ministro della difesa, Younes), ha dato la soprendente notizia che il misterioso Consiglio nazionale di transizione si è già trasferito da Bengasi a Tripoli fin da mercoledì. Sarà . Però ieri pomeriggio Jalil ha dato una conferenza stampa, ma a Bengasi.
Ieri Cnt è stato riconosciuto anche dalla Lega araba (che fin dall’inizio aveva invocato l’intervento della Nato), mentre l’Unione africana (i cui tentativi di mediazione sono stati sprezzantemente frustrati dalla Nato, dall’Onu e dall’Occidente) doveva riunirsi a Addis Abeba per decidere il da farsi. Anche il Sudafrica è furioso. Ieri all’Onu ha bloccato lo scongelamento di 1.5 miliardi di dollari degli asset libici in favore del Cnt (ne sono passati solo 500 milioni), il vice-presidente della repubblica Motlanthe ha chiesto che la Corte penale internazionale indaghi non solo su Gheddafi ma anche sui crimini di guerra sui civili commessi dalla Nato e 200 prominenti figure sudafricane hanno firmato una lettere di condanna contro la falsa «guerra umanitaria».
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