by Sergio Segio | 8 Agosto 2011 7:09
NEW YORK – «La Standard & Pooor’s ha sbagliato a declassare il rating degli Stati Uniti, avrebbe dovuto aspettare almeno il secondo round di tagli alle spese da parte del Congresso», dice Nouriel Roubini, l’economista che aveva previsto la tempesta finanziaria e che ora ipotizza il «double dip», la ricaduta nella recessione. Gli uomini della Casa Bianca sono ancora più duri. Continuano a parlare di «decisione affrettata e amatoriale». Si interrogano sulla «credibilità e correttezza» dell’agenzia di rating, con un ovvio riferimento al suo ruolo nel favorire la crisi del 2008-09. In questo clima d’assedio l’amministrazione serra i ranghi: «Il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha fatto sapere al presidente Barack Obama che intende restare al proprio posto – ha comunicato in una nota del Tesoro ieri – per affrontare l’importante lavoro per le sfide dell’economia». Una decisione ufficiale che serve a spazzare via le illazioni di dimissioni che avrebbero creato ulteriori incertezza a Wall Street.
Tensioni che non mancano visto che John Chambers, direttore generale della S&P (Standard & Poor’s), non solo difende il declassamento, ma rincara la dose. «C’è una possibilità su tre che il voto degli Stati Uniti venga ulteriormente ridotto», ha minacciato ieri sulla rete Abc, ricordando che la sua agenzia, nel togliere per la prima volta a Washington il massimo punteggio sulla affidabilità dei titoli di lungo termine, ha anche espresso un «negative outlook» per i prossimi 6-24 mesi. In pratica, se i conti pubblici dovessero peggiorare o se l’impasse politica dovesse aggravarsi, Chambers e i suoi collaboratori sono pronti a far scendere il voto di un altro gradino, da AA+ al AA.
Le altre due agenzie di rating, Moody’s e Fitch, che martedì scorso, dopo il passaggio della legge per evitare il default e tagliare di 2400miliardi le spese, avevano confermato la tripla A, sono polemiche nei confronti dei colleghi della S&P che avrebbero agito «in modo prematuro». Secondo Steven Hess, responsabile per Moody’s del rating americano, si sarebbe dovuto aspettare la conclusione dei lavori dei 12 parlamentari della super-commissione che dovrà individuare entro novembre ulteriori tagli.
Sarà quella la nuova prova del fuoco per gli Stati Uniti? Tutto fa pensare di sì: la fine del 2011 sarà un momento cruciale per il risanamento dei conti. A quel punto le agenzie di rating rivedranno le loro valutazioni. E così il Congresso e la Casa Bianca hanno ora a disposizione cento giorni, non molti di più, per un accordo e soprattutto per ritornare a quella «cultura bipartisan» che è sempre stata l’arma segreta della politica americana e che ora viene trascurata e tradita.
Barack Obama fa capire di essere pronto a riprendere i negoziati con il leader repubblicano John Boehner per un «grande compromesso» che riduca il debito di 4mila miliardi in 10 anni (come chiedeva anche S&P) attraverso tagli alle spese sociali e un incremento delle tasse. Quelle trattative si arenarono il mese scorso proprio sul fisco, perché la destra non voleva sentirne parlare. E adesso che succederà ?
Durante il week-end Michelle Bachmann e gli altri candidati repubblicani alla Casa Bianca hanno attaccato Obama, denunciandolo come il vero responsabile del declassamento. I democratici non hanno perso la speranza di conquistare i settori più moderati del partito avversario, ma sanno anche che l’antistatalismo conservatore del tea party è sempre più forte e potrebbe vanificare ogni sforzo del Congresso e ogni speranza dei mercati.
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