La battaglia arriva a Tripoli Ultimo assalto al Colonnello

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ZAWIYA — Ancora Gheddafi non è caduto, ma già  i comandi militari della guerriglia rivoluzionaria pensano a come assicurare la calma quando saranno in controllo di Tripoli. «Una cosa è certa: eviteremo gli errori che commisero gli americani dopo la fuga di Saddam Hussein da Bagdad nell’aprile 2003», sostengono gli ufficiali della Rivoluzione del 17 febbraio incontrati tra le vie devastate dai combattimenti di Zawiya e negli uffici-comando a Zintan, la cittadina dove hanno il loro quartier generale sulle montagne di Nafusa.
Come? Le risposte specifiche sono ovviamente top secret. Nessuno intende rivelare al nemico i piani delle prossime battaglie. Un’operazione comunque complessa. Qualcuno l’ha chiamata «Alba della sposa», dal soprannome della capitale libica «sposa del mare». Un nome aulico per liberare dal dittatore una città  di oltre due milioni di abitanti, dove Gheddafi può ancora contare su di un buon numero di fedelissimi: irriducibili sostenuti da tribù importanti che dominano nel centro e nelle regioni meridionali della Libia.
Informazione e propaganda si accavallano in un brusio contraddittorio e caotico, specie in queste ultime ore. Al Jazeera riportava ieri testimonianze da Tripoli su scontri in centro, in piazza Algeria e nei quartieri di Fashlum, Suq al Jumaa e Arada. «L’intifada di Tripoli è iniziata», proclamava l’emittente. In serata, altri reporter hanno confermato di aver udito esplosioni multiple nella capitale. Sparatorie sono state segnalate nel sobborgo orientale di Tagiura. Alcuni tripolini hanno riferito che, mentre folle di oppositori del regime sono uscite in piazza dopo il digiuno, un sms è stato inviato ai cittadini, esortandoli «a scendere in strada per eliminare gli agenti armati» del nemico. Il portavoce del regime, Moussa Ibrahim Gheddafi, ha ammesso scontri «limitati» in alcuni quartieri di Tripoli, aggiungendo che «gli infiltrati» sono stati respinti. L’altra notte la radio dei ribelli aveva annunciato che «circa 10.000 combattenti hanno liberato l’aeroporto internazionale di Tripoli». Ma la tv libica ha mostrato che è nelle mani delle forze lealiste.
A Zintan il portavoce militare del Consiglio rivoluzionario, colonnello Juma Ibrahim, conferma l’importanza della presa di Gharyan, Zlitan, Brega e Zawiya e di larghi tratti di fascia costiera tra Tripoli e il confine con la Tunisia. «Manca poco, forse meno di una settimana — afferma —. Stiamo preparando l’assalto finale su Tripoli. Gheddafi è completamente circondato. Gli attacchi della Nato, assieme alle nostre offensive di terra l’hanno logorato. I suoi soldati hanno il morale a terra, mancano di benzina e munizioni. Non penso abbia armi chimiche. Le avrebbe già  usate. Però potrebbe minare Tripoli con gigantesche bombe da 3.000 chili, impegnare cecchini, dissanguarci in estenuanti combattimenti strada per strada, facendosi scudo dei civili». La radio dei ribelli Libya Al Ahrar riferiva ieri voci di una fuga del Raìs con i figli Hannibal e Mutassim. Ma nella notte la tv libica ha mandato in onda un audio di Gheddafi che si congratulava per l’eliminazione dei nemici, «quei topi». «Suo figlio Saif al Islam potrebbe morire combattendo. Ma lui no, è troppo furbo — continua Ibrahim —. Non mi stupirei se, dopo aver incitato i suoi a morire con onore, cercasse di scappare nel deserto verso un Paese africano amico, ne ha tanti a sud del Sahara».
Ecco dunque il piano per tentare la presa il più possibile indolore di Tripoli. Da qualche giorno le unità  dei ribelli più prossime mandano avanti i loro uomini che risiedono nella capitale affinché si appostino nelle proprie case. Da Bengasi alcune centinaia di militanti sarebbero arrivati via mare in attesa di ordini. «Saranno i tripolini a liberare per primi i loro quartieri, invitando la popolazione a insorgere e nello stesso tempo cercando di controllare chi vorrà  prendersela con i vicini pro-Gheddafi», dice un giovane capitano originario di Tripoli e impegnato a Zawiya. Le sommosse nella capitale tra fine febbraio e marzo erano state sedate nel sangue. Poi si erano riaccese su scala minore. Tra maggio e i primi di giugno i disordini notturni e le schermaglie tra giovani e corpi scelti della polizia erano la norma. Ma poi la repressione era tornata violenta, con agenti e informatori sparpagliati su larga scala, spesso volutamente visibili con l’intento di fungere da deterrente. Ora le manifestazioni urbane dovrebbero congiungersi con le colonne di insorti in arrivo dall’esterno. Ieri si era anche propagata la voce, non confermata in modo indipendente, che dopo un intenso bombardamento Nato sulle mura di cinta del carcere di Abu Selim (un simbolo della ribellione da quando nel 1996 vi furono massacrati circa 1.200 prigionieri politici) i familiari dei detenuti avessero attaccato l’edificio liberando i loro cari.
Viaggiare nelle zone controllate dai ribelli presso Zawiya è ormai meno pericoloso che due giorni fa. «Stiamo ripulendo le postazioni nemiche dai cecchini. Il problema è che ci sono tanti miliziani pro-Gheddafi sbandati ancora ben armati. Sono nascosti tra le case abbandonate, che sono tantissime. Quando può, la popolazione civile fugge», dicono ai posti di blocco sino a Sabratha. Le operazioni più violente sono in corso più a Ovest, verso Zuwara, dove i miliziani pro-Gheddafi sono imprigionati in una grande sacca impossibile da difendere. Ieri nel pomeriggio è intervenuto l’esercito tunisino per fermare quelli in fuga che tentano di sconfinare. I lealisti restano molto più aggressivi a Jaddaym, sulla strada costiera, una decina di chilometri a est di Zawiya: da qui tirano a intermittenza missili Grad verso le zone che hanno appena abbandonato. Il centro di Sabratha porta i segni di incendi e impatti di proiettili di grosso calibro anche nella zona dei giardini pubblici. A Zawiya quasi non c’è palazzo che non sia stato danneggiato.


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