by Sergio Segio | 5 Agosto 2011 13:43
“All’interno dei Cie, i reclusi hanno accolto la notizia con molta angoscia” – riporta Gabriele Del Grande di Fortress Europe[1]. “Nessuno riesce a spiegarsi come sia giustificabile passare 18 mesi dietro le sbarre per un permesso di soggiorno scaduto o per un viaggio senza passaporto. Nemmeno gli ex detenuti riescono a capire come sia possibile che servano 18 mesi di detenzione per identificarli dopo che sono stati giudicati dai tribunali italiani e dopo che sono già stati detenuti, a volte per anni, nelle carceri di questo paese”.
In un dettagliato commento al decreto rimpatri[2], tre associazioni giuridiche (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – Associazione nazionale giuristi democratici e Magistratura democratica) definiscono la legge “una normativa ingiusta e inefficace” che tra l’altro – accrescerà le spese per la sorveglianza. Inoltre sottolineano che “le critiche sul versante delle scelte politiche non risparmiano quelle assunte in sede europea, se è vero che la decisione più controversa, quella della dilatazione del termine di durata massima della permanenza nei Centri di identificazione e di espulsione, portato ad un anno e sei mesi, è conforme alle possibilità contemplate dalla stessa Direttiva dell’Unione” (la Direttiva 2008/115/CE).
Proprio questa direttiva è stata invoca dal Ministro degli Interni[3], Roberto Maroni, per affermare che “Noi abbiamo preso una norma che è contenuta nella direttiva che dice che gli immigrati si possono trattenere nei centri fino a 18 mesi”. Ma – come fatto notare da più parti[4] – la direttiva europea prevede che, nel periodo entro cui deve adempiere volontariamente all’ordine di espulsione, lo straniero può essere controllato con varie misure amministrative (cauzione, consegna dei documenti, obbligo di dimora in un luogo) fino all’ordine di allontanamento immediato. È possibile adottare misure coercitive per l’allontanamento, ma “adeguate” e con “uso ragionevole della forza”. Il trattenimento, per l’Unione europea, è possibile in casi estremi ma deve essere “brevissimo”.
La questione quindi, secondo molti, è se sia ragionevole allungare i tempi fino a 18 mesi quando l’esperienza dimostra che se le condizioni per l’allontanamento non si realizzano nelle prime settimane, quasi mai si realizzano dopo. Di fatto – come nota ancora lo studio delle tre associazioni giuridiche[5] (ASGI, GD e MD) – “persone che non hanno commesso alcun reato potranno essere ristrette in strutture spesso totalmente inadeguate a rispettare standard minimi di civiltà , oltretutto senza che possano essere garantite forme di controllo giurisdizionale o comunque istituzionale sull’effettivo rispetto dei loro diritti fondamentali nel periodo di internamento”.
Il decreto convertito in legge introduce inoltre il permesso di soggiorno per motivi umanitari e anche il “rimpatrio volontario assistito[6]” che potrebbe sostituire, in alcuni casi, il rimpatrio coatto degli immigrati clandestini. In questo caso l’immigrato può ottenere dal Prefetto un termine da 7 a 30 giorni per il ritorno in patria. Espulsione immediata con provvedimento delle autorità di Polizia è invece prevista per gli stranieri considerati pericolosi per ragioni di ordine pubblico, per la sicurezza nazionale o per il rischio di fuga.
L’unica nota positiva è l’approvazione di un ordine del giorno proposto dall’opposizione che impegna il Governo “a predisporre ed adottare con urgenza tutte le misure necessarie a consentire ai giornalisti e agli operatori dell’informazione l’accesso ai centri per immigrati e richiedenti asilo”. E’ un “positivo risultato dell’azione intrapresa da settimane dalle rappresentanze del giornalismo italiano per difendere il dovere di cronaca sulle condizioni di vita degli immigrati, spesso disumane, all’interno dei Cie” – sottolinea una nota della Fnsi e dell’Ordine dei giornalisti[7].
Le due organizzazioni, insieme a numerose associazioni e movimenti, nelle scorse settimane hanno promosso le iniziative della rete LasciateCIEntrare[8] per rivendicare il diritto dell’opinione pubblica ad essere informata su ciò che avviene all’interno dei Centri. Fnsi e Ordine sollecitano il Ministro dell’Interno “a ripristinare nei tempi più rapidi la possibilità d’accesso dei giornalisti, che è utile alla società persino dal punto di vista dell’ordine pubblico: è evidente, infatti, che anche l’imposizione del silenzio informativo sulla situazione all’interno dei Cie e dei Cara può aver indotto alcuni degli immigrati a pensare che servissero gesti di protesta violenti – comunque inaccettabili – per richiamare l’attenzione dei media e delle istituzioni”.
“Una volta che i cancelli si saranno riaperti per i giornalisti – conclude la nota della Fnsi e dell’Ordine dei giornalisti – l’auspicio è che del dovere di cronaca si faccia uso intenso: dipende anche dai nostri articoli e servizi, se questi centri potranno allontanare da sé il sospetto di essere come carceri, o peggio delle carceri”. [GB]
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