by Sergio Segio | 23 Agosto 2011 6:35
ROMA — «Senza l’apporto dell’Italia, Gheddafi non sarebbe caduto — dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa —. Il nostro Paese ha svolto un ruolo fondamentale». La Nato avrebbe incontrato grosse difficoltà «se noi ci fossimo messi di traverso: se non avessimo accettato di partecipare alle operazioni militari decise dall’Onu, sarebbe stata una missione dimezzata».
L’Italia non solo ha aperto le proprie basi militari ai caccia degli alleati, ma ha fornito anche consulenza strategica e intelligence. «Non a caso — fa notare La Russa — l’ex primo ministro Jalloud, quando ha deciso di abbandonare il regime, è approdato proprio in Italia».
In tutte le riunioni con i ministri degli altri Paesi, «ci siamo sempre sentiti chiedere consigli sul modo migliore di affrontare la questione libica, perché a noi, come dirimpettai di Tripoli, viene riconosciuta una certa familiarità coi libici e la capacità di capire i problemi del loro Paese. Fra Italia e Libia c’era un trattato di collaborazione che ora può essere rimesso in vigore col nuovo governo che s’installerà a Tripoli».
Alla Francia, secondo il ministro della Difesa, sono stati attribuiti meriti eccessivi che, a conti fatti, non corrispondono alla realtà . «Noi abbiamo fornito aiuti concreti alla popolazione libica, abbiamo inviato medicinali e generi alimentari ai civili in difficoltà . Parigi si è limitata a mandare un aereo pieno di bandiere francesi, buone per la propaganda».
Accanto ai ribelli hanno lavorato 10 istruttori italiani. Insieme coi colleghi di altri Paesi hanno cercato di trasformare gruppi di volontari privi di cognizioni belliche in squadre capaci di muoversi con un minimo di visione strategica. All’inizio i risultati erano molto scarsi perché le varie fazioni pretendevano di muoversi ognuna per proprio conto.
Negli ultimi tempi, le cose sono migliorate. I vari capi della rivolta hanno fatto tesoro dei consigli degli istruttori, hanno coordinato le loro azioni e i risultati si sono visti, gli oppositori di Gheddafi sono riusciti a piegare la resistenza dei fedeli al regime.
Essenziale il martellamento continuo dei caccia della Nato che hanno spianato la strada, mettendo fuori uso carri armati e batterie antiaereo. Anche in questo campo il contributo italiano è rilevante. Marina e Aeronautica hanno schierato i loro mezzi fin dal 28 marzo, quando si è messa in moto quella che all’inizio era la coalizione dei volenterosi.
Eurofighter, F16, Tornado dell’Aeronautica e gli Harrier a decollo verticale della Marina che partivano dalla nave Garibaldi hanno compiuto, fino ad oggi, 901 missioni (7.500 i raid complessivi della Nato). Il numero degli obiettivi contro i quali hanno sganciato bombe non viene fornito. Ma si calcola che siano circa 300 i target presi di mira dai velivoli italiani, e cioè carri, mitragliatrici, aerei di Gheddafi e altri bersagli ritenuti pericolosi per i civili.
Fino all’inizio di luglio la partecipazione italiana agli attacchi contro la Libia, nell’ambito dell’operazione Unified Protector, è costata 142 milioni di euro. Per i successivi tre mesi erano stati stanziati altri 60 milioni di euro di cui finora è stata spesa circa la metà .
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