Isolamento e critiche I costi della non-guerra
Come se non fosse bastato Helmut Kohl e la sua accusa ad Angela Merkel di aver perso «la bussola». Ci si mette anche uno dei leader morali della sinistra, l’ex ministro degli Esteri che è stato l’innovatore dell’immagine tedesca negli anni Novanta: l’uomo che ha portato i caccia a volare sul Kosovo, e in nome dell’intervento umanitario la Bundeswehr a partecipare per la prima volta a una «missione internazionale di pace».
Ebbene, Fischer dice che l’isolamento tedesco sulla Libia, la decisione d’astenersi sull’intervento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu — quando il ministro degli Esteri Guido Westwerwelle non alzò la mano insieme ai colleghi cinesi e russi — ha «sostanzialmente danneggiato» la posizione internazionale della Germania. E il fatto che Fischer la pensi come Kohl, «che un conservatore e un verde siano d’accordo», sostiene Fischer, non «vuol dire necessariamente che si sbaglino». Non solo. Ma come Kohl, anche Fischer vede nel disimpegno tedesco la mancanza di una visione complessiva, di un’idea di Germania: «Siamo troppo grandi — dice — per ritirarci a un ruolo di grande Svizzera. Ma troppo piccoli per comportarci da potenza mondiale».
Infelice, quella decisione di Westerwelle (benedetta, va ricordato, dalla Merkel). Criticata da subito dai media tedeschi, che parlarono di rischio di isolamento. Ma il liberale Westerwelle è riuscito anche a peggiorare la situazione in corso d’opera. La settimana scorsa ha suggerito che il regime è caduto «grazie alle sanzioni». E questo è stato davvero troppo, anche per i suoi colleghi di partito. E infatti, mentre i vignettisti lo prendevano in giro, Westerwelle veniva corretto dal leader dei liberali, il 38enne Philipp Rà¶sler, che ringraziava gli alleati per «l’aiuto decisivo». Convocato a rapporto dai vertici del partito, messo quasi sotto tutela, ha dovuto fare pubblica ammenda con una lettera-programma alla Sà¼ddeutsche Zeitung. Non prima di vedersi sconfessato anche dalla Merkel: «Ho grande rispetto — ha detto lei in un’intervista alla Bild — del lavoro della Nato».
E adesso? Chiusa questa fase della guerra libica, mentre la Merkel dice che i tedeschi valuteranno se partecipare a una missione Onu di ricostruzione, resta da vedere come contenere i danni della guerra. Eliminare Westerwelle? Far rotolare una testa, legare la «vicenda Libia» a un ministro che s’è mostrato sorprendentemente isolazionista e quasi anti-americano, e poi lavarsene le mani e ripartire? Sui giornali già spuntano i nomi dei possibili successori, sempre liberali: il conte Alexander Lamsdorff o Werner Hoyer. Ma è improbabile che la Merkel accetti una crisi di governo mentre deve far approvare dal Parlamento riluttante il pacchetto salva-Stati. Resta, sullo sfondo, il grande problema della Germania: ritrovare il suo posto in Europa; riconfermare, anche con la nuova apertura alla Russia, le proprie alleanze strategiche. Non è solo una questione di (presunta) inettitudine di Westerwelle. Kohl, piuttosto, direbbe che la missione è di «ritrovare la bussola».
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