by Sergio Segio | 1 Agosto 2011 7:47
Soprattutto, ripeteva convinta, «perché la punizione fosse un monito per gli altri uomini» . Ieri, però, la donna ci ha ripensato. Quando ha capito che il medico era pronto a eseguire la sentenza per accecare il suo assalitore, lei ha deciso che no, «non aveva intenzione di portargli via gli occhi» . «Erano sette anni che aspettavo questo momento ha detto all’agenzia Isna — per provare alla gente che chi getta acido su una persona deve essere punito con la “qisas”(la legge del taglione prevista dalla sharia n. d. r.), ma oggi ho voluto perdonarlo. L’ho fatto per il mio Paese visto che tutto il mondo era in attesa di vedere cosa avremmo fatto» . La sentenza, infatti, era stata duramente criticata da Amnesty International che il 13 maggio, alla vigilia dell’esecuzione della pena, aveva intimato alle autorità iraniane di fermarsi: «Per quanto orribile sia il crimine commesso da quest’uomo, essere accecati con l’acido è una punizione crudele e disumana equivalente alla tortura, l’Iran ha la responsabilità di rispettare le leggi internazionali» .
E Teheran non se la sentì di sfidare l’opinione pubblica mondiale. Nonostante la legge del taglione sia legale nel Paese, è applicata più frequentemente per gli omicidi e raramente in casi come questo. Così il 14 maggio le autorità fecero sapere che non si era trovato un medico disposto a versare le gocce d’acido negli occhi di Movahedi e che l’esecuzione della sentenza era rimandata. Ameneh, che oggi ha 33 anni, non gradì affatto la notizia: «Mi stavo preparando con la mia famiglia e i miei amici ad andare in carcere per constatare che il verdetto fosse eseguito — disse alla Bbc— quando i giornalisti mi hanno chiamato per dirmi che era stato rimandato, non potevo crederci, penso che gli attivisti dei diritti umani stiano cercando di fermarmi» . Ma ieri Ameneh Bahrami ha deciso di voltare pagina e «perdonare» il suo rapitore in cambio di una «compensazione pecuniaria» (in arabo diya, letteralmente «prezzo del sangue» ) di circa 150 mila euro, una cifra che le permetterà (forse) di ricostruire il suo viso deturpato con una complessa chirurgia plastica.
Il procuratore capo di Teheran Abbas Jafari Dolatabadi ha definito la decisione della donna «un atto di coraggio» ma ha voluto sottolineare «che tutto era pronto per la “qisas”sugli occhi di Majid» , come a dire che l’Iran non si sarebbe tirato indietro e avrebbe applicato la legge sfidando il diritto internazionale. Le organizzazioni per i diritti umani da Amnesty International a Iran Human Rights hanno, invece, invitato il governo di Teheran «a rivedere con urgenza il codice penale » . «Chiediamo la rimozione di pene barbare e medievali come la lapidazione, l’accecamento e l’amputazione — ha dichiarato Mahmood Amiry Moghaddam, portavoce di Iran Human Rights (IHR)— e esprimiamo tutta la nostra compassione a Ameneh Bahrami che ha diritto a essere curata a spese del governo iraniano e a ricevere un compenso economico per aver perso tanti anni della sua vita» .
Nel 2004 Ameneh era una ventiseienne carina e indipendente che studiava ingegneria all’Università e lavorava in un laboratorio a Teheran. Il futuro sembrava sorriderle: «Ero veramente una bella ragazza — ha raccontato alla Bbc— in tanti avevano già chiesto la mia mano» . Poi si fece avanti Majid Movahedi, all’epoca 23enne, o meglio sua madre che chiamò la famiglia per proporre formalmente il matrimonio. La giovane non conosceva Majid, non l’aveva mai visto e rifiutò. Lui se la prese, cominciò a tempestarla di telefonate, la minacciò: «Ti distruggerò la vita e farò in modo che nessuno ti sposi mai» . La polizia disse che non poteva far nulla perché nulla era successo. E così un giorno, in un vicolo, lui mise in atto la sua vendetta. Purtroppo non è il solo a farlo in Iran.
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