In territorio elvetico 100 miliardi mai dichiarati

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L’intesa segue l’analogo preliminare del 10 agosto tra Svizzera e Germania, che si stima abbia 130 miliardi di euro occultati oltre il confine meridionale. Contatti informali coinvolgono anche l’Italia, che avrebbe all’estero, soprattutto in Svizzera, un centinaio di miliardi mai dichiarati da suoi contribuenti, nemmeno con il recente beneficio dello scudo fiscale. Austria e Grecia mostrano interesse verso le aperture di Berna. Negli Usa, la Casa Bianca deve rispondere alle multinazionali americane che chiedono di rimpatriare i profitti costituiti nelle filiali dei Paesi a blanda pressione tributaria senza subire l’imposizione fiscale ordinaria.
Dopo l’imprimatur dei governi, gli accordi europei verranno resi noti e potranno essere approfonditi. Ma già  il comunicato sul preliminare tra Germania e Svizzera segna l’inizio di una svolta. Vi si dice che i cittadini e gli enti tedeschi con depositi bancari, azioni, obbligazioni, quote di fondi, polizze vita presso le oltre 400 banche svizzere saranno posti dalle banche medesime davanti a tre scelte. La prima: autorizzare le banche depositarie a comunicare al fisco tedesco le sostanze nascoste. Seconda scelta: conservare l’anonimato accettando un’imposta liberatoria una tantum sui capitali, compresa tra il 19 e il 34%, e per il futuro un’imposta annuale del 26% sul rendimento dei capitali rimasti anonimi. La liberatoria farebbe da scudo alle irregolarità  passate per successioni, donazioni e pagamenti dell’Iva; l’imposta sui rendimenti chiude le falle dell’euroritenuta, visto che si applica sia alle persone fisiche che a quelle giuridiche e intercetta anche le polizze vita a premio unico con beneficiari terzi, tipico strumento di elusione fiscale. In sede di ratifica, governi e parlamenti vi potranno aggiungere trust e fondazioni discrezionali, rimaste finora al riparo.
Esattrici per conto del governo di Berlino sarebbero le banche svizzere, disponibili ad aprirsi ai controlli delle autorità  tedesche, purché mirati e per non più di 999 casi l’anno, in aggiunta ai normali scambi di informazioni previsti in sede Ocse. Terza scelta: prima che l’accordo entri in vigore nel 2013, dirottare i capitali anonimi altrove, ma non presso filiali di banche svizzere nei paradisi fiscali e nemmeno in altre banche europee. In cambio, le banche scudocrociate avranno libero accesso alla Germania e potranno meglio contendere a quelle tedesche il risparmio locale.
Una stima realistica dei flussi monetari che verranno così rimpatriati è impossibile al momento. Ma se è vero che i capitali tedeschi esportati in forma anonima nella vicina Confederazione sono quelli che si dice e il testo del trattato sarà  fedele al comunicato, l’impatto potrebbe essere alto. Scappare dalla Svizzera, infatti, è assai rischioso. I paradisi limitrofi come il Liechtenstein hanno perso credibilità  in seguito alle fughe di notizie più o meno sollecitate dai servizi tedeschi. I lidi off shore più remoti non danno la stessa certezza del diritto e la stessa professionalità . Il prezzo per conservare l’anonimato è tangibile, ma probabilmente sopportabile dai più.
Gli Stati Uniti, che per primi avevano dato la caccia agli evasori in Svizzera, ora devono decidere se credere alle loro corporation che promettono di reinvestire in attività  produttive i 600 miliardi di dollari di profitti costituiti legalmente all’estero e rimpatriabili con maxi dividendi esentasse o se guardare all’esperienza di George W. Bush che anni fa accolse analoga richiesta e dovette poi constatare come i profitti rientrati non fossero stati reinvestiti ma più semplicemente e avidamente ridistribuiti come dividendi a beneficio delle quotazioni dei titoli e delle stock option dei top manager. Un’imposta una tantum potrebbe essere un compromesso? Tutto dipende dall’aliquota. E qui si aprono gli imbarazzi anche per l’Italia. Non tanto per il rimpatrio degli utili delle multinazionali depositati legalmente oltre confine, che non dovrebbero essere tanti, quanto per quelli fatti e trasferiti in regime di evasione fiscale.
La tentazione di copiare la Germania è grande. La si coglie nelle timide aperture del governo alla proposta di Pierluigi Bersani di imporre un prelievo fiscale straordinario del 15% sui 105 miliardi di capitali scudati all’aliquota del 5% dal ministro Tremonti e per oltre la metà  rimasti in gestione all’estero, molti in Svizzera. L’idea del leader del Pd è interessante, perché tocca una minoranza di italiani venuta meno al contratto sociale; ma è anche discutibile, perché con quella stessa minoranza lo Stato aveva sottoscritto un contratto specifico. Qualcuno dirà  che dietro ogni diritto acquisito — lo scudo come la pensione di anzianità  â€” c’è un contratto. Ma ci vuole garbo giuridico per non disperdere in cause quanto si recupererebbe per decreto. E allora lo schema tra Germania e Svizzera andrà  approfondito sul piano del diritto e su quello dei numeri.
Sul piano del diritto, bisogna capire se la triplice scelta sull’anonimato, proposta non da una nuova legge della Repubblica italiana ma da un trattato internazionale con la Svizzera, possa superare l’eventuale difficoltà  di un secondo prelievo sui capitali scudati. Sul piano dei numeri, bisogna considerare la teorica base imponibile, ancorché fosse fatta solo dai capitali mai regolarizzati e le aliquote buone per i conti pubblici italiani.


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