Imprese, pressing sul governo

by Sergio Segio | 7 Agosto 2011 7:34

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 ROMA.Si può fare di più. Confindustria non è entusiasta delle misure anticrisi annunciate dal governo. Vuole che il governo le accompagni con più tagli e più privatizzazioni. Dopo il silenzio di venerdì sera, ieri gli imprenditori in una nota congiunta con i rappresentanti del mondo bancario e della cooperative – in pratica il lato «datoriale» del tavolo delle parti sociali già  riunito a palazzo Chigi – un po’ apprezza e molto rilancia ponendo condizioni. Il governo intende ascoltare, i rappresentanti di imprenditori e lavoratori si rivedranno mercoledì prossimo.

Le riforme costituzionali non guastano certo, spiegano industriali e bancari nella nota di ieri, ma non c’è «alcun motivo di attendere una modifica dell’articolo 41 per procedere alle liberalizzazioni e a quelle semplificazioni della pubblica amministrazione che possono ridurre gli oneri su imprese e cittadini e dare più spazio al mercato». Le ricette di Confindustria stanno sul piatto da tempo: privatizzazioni – a partire dalla Rai e dalle public utility con buona pace del referendum sui servizi pubblici essenziali -, liberalizzazioni delle licenze e delle professioni. Lo spirito del tempo impone agli imprenditori di aggiungere che «è necessario anticipare i tagli ai costi della politica, sarà  altrimenti molto difficile chiedere sacrifici al paese». Facilissimo invece sorvolare sul contributo di rendite e patrimoni. Il ministro del welfare Sacconi in ogni caso è pronto ad apparecchiare immediatamente il tavolo che doveva restare sgombro fino a settembre. Anzi, già  assegna i posti d’onore: «Il documento delle organizzazioni rappresentative delle imprese conferma la loro piena disponibilità  al confronto – dice il ministro -, nello stesso modo si sono espressi i segretari del sindacato riformista». Non la Cgil dunque, che pure ha firmato un documento assieme a Confindustria, esponendosi a dure polemiche interne.
La ragione sta forse nel fatto che non di sole liberalizzazioni si intende parlare, ma anche della «riforma» del lavoro, e sul punto la Cgil non ha cambiato posizione. «Il principio fondante lo “Statuto dei lavori” è assolutamente inaccettabile quando stabilisce che i diritti debbano discendere dalla tipologia di impiego. È un assunto per noi assolutamente non accoglibile», ha detto ieri il responsabile del dipartimento mercato del lavoro della Cgil, Claudio Treves. Sacconi avrebbe in animo di proporre di «istituzionalizzare» il contratto aziendale, così come definito nell’accordo interconfederale raggiunto a fine giugno. Ma in materia di lavoro, avvertono le imprese nella nota di ieri, «deve essere riconosciuto il ruolo degli attori sociali». Per il resto «siamo pronti a confrontarci con l’esecutivo sulle misure che verranno proposte in materia di fiscalità  e assistenza per anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Riteniamo opportuna una seria e rapida consultazione delle parti sociali su queste misure». Appuntamento a mercoledì pomeriggio, Berlusconi difficilmente ci sarà  visto che è il giorno della festa di compleanno della figlia Marina, in Sardegna.
Il giorno seguente, invece, a Montecitorio, ci sarà  l’adunata agostana dei senatori e deputati delle commissioni affari costituzionali e bilancio. Circa 150 parlamentari convocati per ascoltare il ministro Tremonti su un progetto di riforma costituzionale che ha bisogno di quattro letture conformi con tre mesi di intervallo ed eventualmente di un referendum confermativo. Difficile definirlo un appuntamento urgente, appariscente certamente sì. Berlusconi così può dare mostra di grande impegno e partendo per la Sardegna ieri ha smentito ogni ipotesi di voto anticipato al 2012. «Lavoriamo senza interruzioni», dice. Ma la brutta notizia per il governo è che la Banca centrale europea non considera sufficienti le iniziative annunciate dal governo e dunque Tremonti non può dare per certo il contributo di Francoforte all’acquisto dei Btp nazionali.
Si conferma così l’ispirazione prevalentemente nazionale delle mosse di Berlusconi. L’unico risultato che il premier può dare per acquisito è quello di aver diviso le opposizioni. Se l’Udc è adesso disponibile a collaborare per l’anticipo della manovra – si tratta peraltro di una proposta avanzata da Casini – il Pd finisce paradossalmente per ritrovarsi in un angolo. Mercoledì durante il dibattito parlamentare Pierluigi Bersani aveva continuato a indicare le elezioni come la via preferibile per portare l’Italia fuori dalla situazione di crisi. Poi ha allargato il campo a «un governo nuovo, con personalità  autorevoli, credibili nel mondo, che riuscissero a raccogliere il massimo di forze parlamentari». «Un governo sul modello di quello di Ciampi», aveva detto Veltroni. Nel frattempo il capogruppo alla camera Franceschini ha proposto addirittura una terza via, «un nuovo governo di centrodestra senza Berlusconi», il Pd resterebbe all’opposizione ma apprezzerebbe. Non basta, nel partito c’è anche chi come Follini concorda con Casini: è il momento di rinunciare alla pregiudiziale antiberlusconiana. La quarta via.

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