Il Tesoretto per l’Aquila che l’Inail non riesce a spendere

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ROMA — A 28 mesi e mezzo dal terremoto che il 6 aprile 2009 colpì l’Abruzzo, L’Aquila è ancora da ricostruire, il suo ospedale è ancora danneggiato e così l’Università . Ebbene: l’Inail ha deliberato quasi un anno fa, con la determina 98 del 13 ottobre, due miliardi di investimenti, dei quali la metà , cioè un miliardo, per la ricostruzione, ma questi fondi non sono stati ancora spesi.
«Purtroppo — spiega Marco Fabio Sartori, presidente dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro — le lunghe procedure e i tanti passaggi richiesti dalla normativa attuale, che impone all’Inail di effettuare gli investimenti in Abruzzo in forma indiretta, rappresentano un ostacolo alla rapida realizzazione degli interventi». Così neppure questo ente pubblico, che è uno dei pochissimi che ha soldi in cassa da spendere e potrebbe «contribuire alla crescita dell’economia», dice Sartori, riesce a farlo.
Il procedimento di «evidenza pubblica» fissato dalla legge, che richiede numerosi passaggi (bando, manifestazioni di interesse, selezione valutazione dei progetti da parte di un advisor, via libera dei ministeri vigilanti dopo un’analisi di compatibilità  con i saldi di finanza pubblica), ha di fatto bloccato gli investimenti, aggiunge Sartori, che chiede di poter procedere invece in maniera semplificata (ovvero in forma diretta): «Preferisco assumermi direttamente le responsabilità  del caso piuttosto che restare impantanato in tutti questi passaggi burocratici».
Secondo la determina del presidente, gli interventi in Abruzzo dovrebbero interessare 5 aree: 1) La ricostruzione del tessuto urbano; 2) Il settore sociale, ovvero la realizzazione di campus universitari e piani di edilizia pubblica a canone calmierato; 3) Il settore turistico-ricettivo, con il recupero e la riqualificazione di alcuni centri storici danneggiati dal sisma; 4) Il recupero di strutture sanitarie; 5) La cultura con interventi su strutture danneggiate o da ricostruire.
All’Abruzzo servirebbero come non mai, ma i mille milioni stanno lì, stanziati da un anno, e non si sa quando verranno spesi, conferma il presidente. Stessa storia anche per l’altro miliardo quello che, in linea con i vincoli di legge, l’Inail deve destinare all’acquisto di immobili da affittare poi alle pubbliche amministrazioni, su indicazioni ricevute dall’Agenzia del Demanio. Mettiamo per esempio che a Teramo o a Vicenza o a Lecce ci sia bisogno di un edificio per ospitare uffici della polizia o delle Entrate. Bene: il Demanio chiede all’Inail di comprare e poi gira l’immobile in affitto. Ma perché proprio all’Inail? Semplice: perché l’Istituto presieduto da Sartori è uno dei pochi della pubblica amministrazione che chiude strutturalmente i bilanci in attivo. Incassa cioè più contributi (quelli che le imprese versano per l’assicurazione sugli infortuni) delle prestazioni (indennità  e rendite) che eroga. Anche l’anno scorso, nonostante la crisi economica, ha chiuso con un attivo di 1,3 miliardi.
Questi soldi, però, tranne una piccola parte che di tanto in tanto viene concesso all’Inail di spendere secondo le modalità  che abbiamo visto, non restano nelle disponibilità  dell’ente ma vengono incamerati per legge (la numero 720 del 1984) dal Tesoro presso un conto infruttifero nominalmente intestato allo stesso istituto. Ma di fatto vengono spesi dal governo per rientrare nei parametri di Maastricht. Negli anni il famoso «tesoretto» che si è accumulato sul conto del governo è diventato un tesoro che sta per sfondare quota 20 miliardi. Al 30 giugno di quest’anno ammontava infatti a 18 miliardi e 994 milioni, quasi metà  dell’ultima finanziaria. Ma il punto non è questo, dice Sartori, «quanto che si tratta di risorse che potrebbero essere usate per promuovere la crescita di cui tanto si parla». Se solo si svincolasse una quota del tesoro dell’Inail, prosegue il presidente, «si potrebbero promuovere investimenti nei settori strategici dell’economia e di utilità  sociale, con effetti positivi sulla produttività  e l’occupazione». A patto ovviamente che poi i soldi si riescano a spendere e non finiscano nella palude, come quelli per L’Aquila.


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