Il Tar rivoluziona il telecomando “Stop alla numerazione obbligata”
ROMA – Rivoluzione nella numerazione della tv digitale. Un vero e proprio terremoto in arrivo nei telecomandi. Il Tar del Lazio ha infatti annullato con una doppia sentenza venerdì scorso la delibera con cui l’Autorità garante delle comunicazioni ha fissato lo scorso anno la numerazione dei canali, la cosiddetta LCN (acronimo in inglese: Logical channel number). Una pronuncia immediatamente esecutiva, cui però l’Agcom presieduta da Corrado Calabrò ha subito replicato con un ricorso d’urgenza al Consiglio di Stato per ottenere la sospensiva della decisione del Tribunale amministrativo di primo grado.
Il doppio ricorso al Tar contro la delibera 366 dell’Agcom era stato presentato da due emittenti locali, la napoletana Canale 34 e la lombarda Più blu Lombardia. Il Tar del Lazio li ha entrambi accolti riscontrando due vizi nella procedura di definizione della delibera dell’Agcom: perché i 15 giorni fissati per la consultazione pubblica, sulla base delle norme del Codice delle comunicazioni, erano un periodo troppo breve, occorrevano almeno 30 giorni. Il secondo aspetto riguarda i Corecom (i comitati regionali dell’Authority): a loro era stato richiesto di condurre un sondaggio sulle abitudini e sulle preferenze degli utenti televisivi, i cui risultati erano stati poi utilizzati per definire l’ordinamento automatico dei canali sul telecomando. Il Tar del Lazio sostiene che i Corecom non erano l’organismo preposto per questo lavoro di analisi.
L’esecutività immediata della pronuncia del Tar potrebbe comportare un vero terremoto: «Questa sentenza rappresenta una catastrofe» dice l’avvocato Marco Rossignoli, presidente dell’Aeranti-Corallo, l’associazione che riunisce 330 tv locali sulle 580 esistenti in Italia. «Così si torna alla giungla del 2009-2010, quando ogni emittente poteva assegnarsi il canale, o più canali, per il proprio segnale. Da sabato, quando si è saputo il contenuto della sentenza del Tar, l’intero settore delle tv locali è allarmato, ai nostri associati abbiamo consigliato di non procedere ad alcun cambio di numerazione, sarebbe autolesionistico, porterebbe al caos e alla perdita secca di ascolti».
Nel ricorso d’urgenza al Consiglio di Stato, l’Agcom sottolinea l’effetto dannoso che la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio potrebbe comportare per il prosieguo nel processo di digitalizzazione della tv in Italia, che nel corso di quest’anno si dovrebbe concludere in Sicilia, Calabria e Basilicata. La risposta del Consiglio di Stato, sollecitata dall’Agenzia, era attesa per ieri sera ma non è arrivata.
Piena soddisfazione sulla sentenza del Tar del Lazio, invece, è stata espressa da parte del Comitato Radio Tv Locali: «La delibera era ingiusta e bene ha fatto il Tar del Lazio ad accogliere il nostro ricorso. Prendere come parametro le graduatorie Corecom (già bocciate anche dall’Antitrust) è stata una sciagurata decisione».
Related Articles
Il Paese stanco che non crede più a tg e talk show
GLI italiani continuano a informarsi, in larga maggioranza, seguendo la tivù. Anche se ne hanno sempre meno fiducia e usano, in misura crescente, la Rete. Perché la considerano il canale più libero e indipendente. E permette loro di informarsi navigando tra diversi media.
Veloci e globali così i nuovi media cambiano le regole
La tecnologia rivoluziona la comunicazione. E i diritti. Chi mette a disposizione una piattaforma non è responsabile dei suoi utenti. Che, tuttavia, non dovrebbero favorire i giochi liquidatori che impazzano a proposito di Internet (produce regressioni culturali, distorce lo sviluppo della personalità e delle mente rendendoci stupidi, è l’agente più subdolo del capitalismo planetario…) e così impediscono di cogliere la forza simbolica di alcuni strumenti, la loro capacità di fondare miti, e così di conferire loro una capacità reale di influire sulle dinamiche del mondo.
Se la Rete sceglie la rotativa
L’informazione ha bisogno di un nuovo modello economico. Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, sarà in grado di trovarne uno? È quello che ci si chiede all’indomani della sua acquisizione del “Washington Post”