Il prezzo della solidarietà 

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Si sente dire sempre più spesso, recentemente lo hanno detto anche la Bce e la Banca d’Italia, che a causa dei debiti contratti dagli Stati sarà  necessario un ennesimo intervento sui sistemi previdenziali. Questi debiti sono stati realizzati per tappare i buchi della finanza speculativa lasciando intatti i meccanismi che hanno portato già  alla crisi del 2008 che così è stata trasferita dai privati al pubblico.
Dunque, invece di far pagare qualcosa ai ricchi beneficiari dell’intervento pubblico (ai quali verranno garantiti acquisti a prezzi di svendita dei beni pubblici e il controllo delle aziende comunali, in barba all’esito del referendum) perché non risparmiare sulle pensioni mandando i lavoratori più tardi in pensione e magari, con la scusa dell’uguaglianza tra i sessi, cominciare dalle donne? Perchè non abolire le pensioni di anzianità  e rendere obbligatorio il lavoro fino a 70 anni? Chi se ne frega se il deficit pubblico non è originato dalla previdenza.
Il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps ha approvato a fine luglio il consuntivo dell’esercizio 2010. Per la prima volta da molti anni è previsto un risultato negativo per 1,3 miliardi di euro solo in piccola parte a causa della crisi (il bilancio preventivo per il 2011 prevede un ritorno all’attivo). Il passivo è in realtà  determinato dall’andamento dei fondi dei lavoratori autonomi ormai fuori controllo da anni e dal costo delle privatizzazioni nei trasporti, negli elettrici e nei telefonici oltre che dal salvataggio del fondo dei dirigenti d’azienda (Inpdai). I numeri sono crudi ed espliciti. Chiudono l’anno con un utile di esercizio il fondo dei lavoratori dipendenti storico (+7,7 miliardi), la gestione delle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti (+1 miliardo), la gestione dei parasubordinati (+8,2 miliardi). Hanno chiuso in passivo, tra gli altri, il fondo dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni (-3,5 miliardi), la gestione artigiani (-5 miliardi), gli esercenti commerciali (-1,6 miliardi), l’ex Inpdai (-3,5 miliardi), le Poste italiane S.p.A. (-113 milioni), e il fondo previdenza clero (-63 milioni).
La situazione per la quale su tre fondi (lavoratori dipendenti, prestazioni per lavoratori dipendenti e parasubordinati) grava la solidarietà  che tiene in vita i fondi degli autonomi e quelli delle aziende privatizzate e dei dirigenti, dura da anni. Lo affermano con chiarezza i conti patrimoniali che registrano l’andamento storico dei fondi.
Nonostante la situazione patrimoniale netta dell’Istituto al 31 dicembre presentasse un attivo di 43,5 miliardi, è necessario sottolineare che esso è il risultato dell’attivo delle prestazioni temporanee e dei parasubordinati, oltre all’attivo portato recentemente dal fondo Poste italiane S.p.A., confluito anche lui all’Inps, come altri fondi, solo dopo essere entrato in disavanzo d’esercizio. I fondi degli autonomi hanno potuto pagare le pensioni grazie alla copertura fino ad oggi di ben 83,8 miliardi di euro dei quali 64,6 vengono dai parasubordinati e il resto dal fondo delle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti, che hanno coperto anche il passivo di 1,8 miliardi del fondo clero.
L’assurdo è che il fondo lavoratori dipendenti eroga pensioni medie annue di 11.107 euro, quelle passive dei fondi speciali variano tra 20.338 e 25.401 euro, mentre l’importo medio delle pensioni erogate dal fondo Inpdai è poco lontano dai 50.000 euro.
Gli operai che pagano gran parte dei contributi per le prestazioni temporanee reggono tutta la baracca e non è dato di sapere quale sia la loro aspettativa di vita nonostante ripetute richieste. I fondi degli autonomi erogano pensioni ben superiori a quanto versato da loro in contributi. Così vengono utilizzati i fondi che i lavoratori versano per la solidarietà  ai cassaintegrati, ai disoccupati, agli ammalati e alle famiglie numerose.
Un operaio edile paga all’Inps e all’Inail per la propria sicurezza quasi il 51% del proprio reddito: questi soldi vengono utilizzati per solidarizzare con chi paga il 20% di un reddito figurativo, fissato intorno a 16.000 euro l’anno.
Gli Stati dopo essersi addossati i costi della speculazione finanziaria internazionale per migliaia di miliardi, stampando moneta e prestando alle banche senza interessi, vogliono far pagare il tutto ai pensionati e in maniera particolare alle donne e ai lavoratori dipendenti.
Nonostante la legge imponga ai ministri dell’economia e del lavoro di intervenire sui fondi passivi, nulla si è fatto per purissime ragioni politiche: autonomi e professionisti (che versano solo il 10% di quello che dichiarano ai fondi previdenziali) sono essenziali al blocco sociale di centro-destra e quindi intoccabili.
*Civ dell’Inps


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