Il Pd, la Cgil e la contro-manovra quant’è difficile fare opposizione

Loading

Il Pd da allora si interroga su che posizione prendere, lacerato tra chi sostiene la scelta del maggiore sindacato italiano e chi, invece, ritiene che sia quantomeno intempestiva. Se non è facile governare in condizioni di emergenza, è ancora più difficile essere all’opposizione in questi frangenti. Bisogna salvare il Paese senza coprire le responsabilità  di chi ci ha portato sull’orlo dell’abisso. E non è certo agevole spiegare dai banchi dell’opposizione che bisogna accettare ulteriori sacrifici, quanto sia forte il rischio che stiamo correndo e quali scelte ben peggiori dovranno essere fatte se il Paese affonda. Il modo migliore per riuscire in questo intento è dare l’esempio col proprio comportamento responsabile. È un modo al tempo stesso di offrire un contributo fondamentale al salvataggio del Paese. Non è un caso che il presidente della Repubblica Napolitano abbia nelle ultime settimane ripetutamente sollecitato comportamenti di questo tipo. Servono a rassicurare chi sta decidendo se rinnovare o meno i nostri titoli di stato in scadenza. Bisogna convincerli che chi potrebbe essere chiamato a guidare un governo dopo le prossime elezioni farà  non solo meglio, ma anche molto meglio di un esecutivo che si è rilevato del tutto inadeguato nel gestire l’emergenza. Purtroppo il decalogo di proposte presentato da Bersani martedì alla stampa e mercoledì alle parti sociali non ha né i numeri, né i contenuti per riuscire in questo intento. Era stato preannunciato come una vera e propria “contro-manovra”. Di “contro” nel decalogo c’è molto. Di “manovra” molto meno. Più o meno un decimo di quanto sarebbe necessario. Quasi metà  del testo consiste in critiche alla manovra del governo. Il resto del documento è un elenco di titoli generici, più che un insieme coerente e articolato di proposte. Ed è un elenco che trascura del tutto il 90 per cento del nostro bilancio pubblico: non una proposta sulla previdenza (40 per cento della spesa corrente primaria), non una sulla sanità  (17%), oppure su istruzione ricerca e cultura (13%), difesa e ordine pubblico (8%) agricoltura, trasporti ed energia (5%), ammortizzatori e assistenza (4%), ambiente e sviluppo urbanistico (2%). E sì che i tagli da qualche parte dovremo pur farli. A ben vedere di tagli alla spesa pubblica nel decalogo di Bersani c’è solo il dimezzamento delle province (perché non abolirle del tutto?) e dei parlamentari (perché non ridurli a un terzo mettendoci in linea con le altre democrazie in termini di rapporto fra eletti ed elettori?), gli accorpamenti delle funzioni dei Comuni con meno di 5000 abitanti (perché non parlare più esplicitamente di fusione, il che tra l’altro non porrebbe i problemi di costituzionalità  che insorgono togliendo funzioni ad alcuni Comuni?) misure giuste, ma ancora parziali, al punto che difficilmente possono portare risparmi superiori al miliardo di euro. A fronte di queste sforbiciatine, ci sono spese aggiuntive (o mancate entrate), come quelle legate alla stabilizzazione dell’agevolazione fiscale del 55% per l’efficienza energetica (in scadenza a fine 2011), il finanziamento dei progetti per l’innovazione tecnologica italiana e la ricerca, il finanziamento pluriennale del contratto di apprendistato e l’abolizione dell’abolizione dell’Istituto per il commercio estero. Vero che c’è un piano di dismissioni nel decalogo, ma è ridotto anch’esso al lumicino. Si tratta unicamente di vendite di immobili, anziché di partecipazioni in società  quotate. Dovrebbe portare a raccogliere 25 miliardi: in termini strutturali significa risparmi per circa 800 milioni all’anno in spesa di interessi sul debito.
La parte più convincente del decalogo sono le misure di contrasto all’evasione, che abbassano le soglie di tracciabilità  (a 300 euro), anche se non sembrano ancora utilizzare le rilevazioni sui patrimoni, che potrebbero davvero permettere di localizzare i grandi evasori. Il grosso della “manovra” sono le entrate, a partire dalla tassa sui grandi valori immobiliari, che assomiglia molto al ripristino dell’Ici sulla prima casa abolita a inizio legislatura. Si può essere più o meno d’accordo con alcune di queste misure, ma è del tutto evidente che non avvicinano neanche lontanamente l’obiettivo dei 40 miliardi di aggiustamento. Coprono, a mala pena, un decimo di questo. Ed è ancora più evidente che il contributo delle entrate al piccolo aggiustamento proposto dal Pd è addirittura superiore a quello della manovra del governo. È come se si cercasse di rassicurare i parenti al capezzale di un malato che ha un’emorragia, offrendo nuove trasfusioni, nuovi prelievi del sangue agli italiani, anziché dimostrarsi capaci di bloccare l’emorragia. Se si vuole essere meno ambiziosi nel miglioramento dei saldi, bisognerà  dimostrarsi in grado di tagliare in modo permanente la spesa corrente e di saper fare quelle riforme strutturali che aumentano la partecipazione al lavoro e la dimensione dei mercati permettendoci di tornare a crescere. Invece di misure a favore dello sviluppo nel decalogo c’è solo un imprecisato piano di liberalizzazioni degli ordini professionali e delle farmacie. Difficile pensare che il mantenimento dello status quo in termini di politiche del lavoro richiesto nel decalogo (ottavo comandamento) o il ripristino del reato di falso in bilancio (nono) possano affrontare i problemi della bassa crescita del nostro paese.
Speriamo che gli emendamenti che lunedì verranno presentati al Senato dal Pd e dalle altre forze politiche siano di ben altro tenore. Perché c’è bisogno davvero di una contro-manovra, che faccia tagli veri e stimoli la crescita non aumentando ulteriormente la pressione fiscale, ma semmai creando le condizioni per una sua graduale riduzione. C’è bisogno di una manovra che orienti le poche risorse disponibili a sostegno dei poveri creati nella recessione, fra i quali non figurano certo coloro che si apprestano a prendere la pensione d’anzianità . Dato che risorse per l’assistenza ai poveri ce ne sono comunque poche, bene che un partito come il Pd si chieda anche se è giusto che la fondazione Monte dei Paschi, ai cui vertici è assai bene rappresentato, si indebiti per sostenere l’aumento di capitale della banca conferita. Non possiamo più permetterci il lusso di enti che, invece di perseguire unicamente le proprie finalità  sociali diversificando il proprio portafoglio onde meglio salvaguardare il proprio patrimonio, decidono consapevolmente di dissanguarsi per mantenere il controllo delle banche. Anche in questo caso si tratta di dare il buon esempio, scegliendo con coraggio le proprie priorità .


Related Articles

Vertenze. 153 lavoratori del call center Almaviva licenziati due volte

Loading

Ribaltata dalla Corte di appello la sentenza che li aveva reintegrati

A due famiglie su tre il reddito non basta

Loading

Bankitalia: il 65% ritiene di non avere risorse sufficienti. Il caso giovani e inquilini

I diritti nell´era del mondo globale

Loading

La globalizzazione e i diritti (La Repubblica, 1 novembre 2006) ULRICH BECK

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment