Il partito anti-speculazione Quel prelievo dello 0,05% a caccia di mille miliardi al giorno
MILANO — L’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie, indicata da Nicolas Sarkozy e Angela Merkel come una priorità per fermare la speculazione, risale a più di 40 anni fa. Ma finora, a parte un esperimento negli anni Ottanta in Svezia (finito male), non è mai stata applicata. Anche se la tassa torna periodicamente di moda. Soprattutto in tempi di crisi come questi. Il nome della tassa è legato all’economista americano James Tobin, che fu il primo a proporla nel 1972, per proteggere i Paesi poveri dalle incursioni sulle loro valute dopo la fine della convertibilità del dollaro in oro, dichiarata il 15 agosto 1971 dal presidente Usa Richard Nixon, decretando così la fine del sistema di Bretton Woods.
L’idea di Tobin, che nel 1981 fu premiato con il Nobel per l’Economia, era semplice. Per ridurre le fluttuazioni monetarie, su ogni scambio valutario si sarebbe dovuta applicare un’imposta modesta, che circa 30 anni dopo l’economista quantificò nello 0,5%. Non una tassa sui profitti, quindi, ma sulle operazioni. Sufficiente per dissuadere gli speculatori, molto attivi nei movimenti nel breve e brevissimo termine.
Almeno in teoria, perché lo stesso Tobin ammise poi che la sua idea, per quanto semplice, era assai difficile da mettere in pratica. Un altro premio Nobel, Joseph Stiglitz, ex capo economista della Banca mondiale e convinto terzomondista, ha però sposato in toto l’idea. E, in qualità di ascoltato consigliere, ha convinto anche il presidente francese Nicolas Sarkozy della sua bontà . Secondo Stiglitz la tecnologia moderna renderebbe infatti l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie molto più facile oggi di quanto non fosse qualche decennio fa, quando Tobin ne prese le distanze.
In tempi di forte volatilità sui mercati finanziari, provocata nell’immaginario collettivo dall’avidità dei banchieri e dall’ingordigia di hedge funds senza scrupoli, qualsiasi freno alla speculazione viene visto con favore. Così il numero dei sostenitori della Tobin tax, specialmente tra i politici, continua a crescere.
Ma i tifosi non figurano solo tra i politici. Lo scorso aprile oltre mille economisti di tutto il mondo hanno firmato una lettera indirizzata al G20 dei ministri delle Finanze, riunito a Washington, per suggerire che i proventi di una tassa da introdurre su tutte le transazioni finanziarie globali fossero devoluti in beneficenza o per aiutare i Paesi poveri. Jeffrey Sachs, tra i firmatari della lettera, ha proposto ad esempio di cominciare con un’imposta assai piccola, uno 0,05%, per valutarne gli effetti, sufficiente però a raccogliere centinaia di miliardi di dollari all’anno e frenare l’eccessiva speculazione.
Il problema è che non tutti i Paesi sono d’accordo. Se Francia e Germania sono favorevoli, gli Stati Uniti si sono già detti contrari, mentre in Gran Bretagna la materia è controversa.
Tra i supporter dell’ultima ora spicca il presidente della Commissione europea, José Louis Barroso, che a fine giugno ha proposto una tassa europea sulle transazioni finanziarie per contribuire al bilancio comunitario fino al 2020, alleggerendo in tal modo i contributi nazionali degli Stati. La proposta è stata accolta con favore dal Parlamento Ue, ma subito bocciata da Jean Claude-Trichet. Secondo il presidente della Bce l’idea di una Tobin tax europea, benché «attraente per molti osservatori», se venisse applicata soltanto in Europa e non a livello globale, diventerebbe una perdita importante di attivi e di attività per l’Europa», perché spingerebbe i capitali altrove. «Una questione seria da tenere presente è quella della competizione: se alcune transazioni sono considerate più costose in Europa che nel resto del mondo, allora se ne andranno nel resto del mondo», ha spiegato Trichet proprio davanti all’Europarlamento.
Perfino un fautore della Tobin tax come Dani Rodrik non crede che questa sia la risposta giusta per fermare la speculazione in Europa. «Penso che una tassa comune sulle transazioni finanziarie sia una buona idea in generale, ma non aiuterà molto la crisi attuale», spiega al Corriere l’economista della Kennedy School dell’Università di Harvard. E aggiunge: «Al momento l’eurozona ha grandi problemi strutturali, che guidano l’afflusso dei capitali e la speculazione. Una tassa sulle transazioni, che dovrà essere necessariamente piccola, non può avere un grande impatto su questi flussi, anche se fosse introdotta immediatamente. Perciò l’idea è buona, ma il momento sbagliato». Impossibile calcolare il valore delle transazioni quotidiane, in passato alcune stime parlavano di mille miliardi di dollari. Adesso potrebbero essere molti, ma molti di più.
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