by Sergio Segio | 26 Agosto 2011 5:57
«E adesso voi relativisti come la mettete?». Incrocia le braccia, si dondola sulla sedia, stringe gli occhi e aspetta la risposta. La mettiamo, cosa? «Con Fukushima. Con Oslo. Col crollo delle borse…». Un terremoto, un pazzo assassino, una crisi economica: scusa, che c’entra il relativismo? Filippo sfodera un sorriso beffardo da “qui ti volevo”, studia filosofia a Milano, ci sa fare con le parole: «Come fate a cavarvela con il vostro pensiero debole, il vostro scetticismo sistematico? Vi siete costretti a dubitare di tutto, e adesso avete paura di tutto».
L’auditorium B7 della Fiera di Rimini si riempie come un uovo, e sono diverse migliaia di posti. Da tre decenni il Meeting è l’ecclesìa ferragostana di Comunione e liberazione, il movimento più autosufficiente e solido della Chiesa cattolica, potenza che ama spesso ospitare i potenti, oggi Elkann e Marchionne, ieri Berlusconi e l’altroieri Tanzi e Gardini, che prega Dio e applaude il Capitale. Ma adesso migliaia di famigliole, di ragazzi, stanno correndo ad ascoltare un filosofo, Costantino Esposito, cantare le lodi di qualcosa che il denaro e i potenti non sanno più garantire: la Certezza. Un’ora di escursione sulle cime ostiche del pensiero («Mi capite? Mi state seguendo?») fino alla vetta: «La vera certezza è appartenere a Qualcuno». «Ho capito solo questo, ma per me è abbastanza», applaude convinta l’infermiera Ilaria di Padova.
È più che abbastanza. È una rivincita. Lungamente attesa. Alla trentaduesima edizione, il Meeting di Rimini mette da parte i titoli astrusi del passato per una frase trasparente e definitiva: E l’esistenza diventa una immensa certezza. Ripetuta ovunque, sulle pareti, sulle magliette, nei titoli delle conferenze, la certezza della scienza, la certezza nell’informazione… Frase pescata da un libro del fondatore don Giussani, fu scritta diversi anni fa, ma è venuto solo adesso il momento giusto per giocarla, calandola sul tavolo come una briscola nell’anno dello spaesamento globale, nell’estate del nostro scontento planetario.
È la sottile rivalsa sugli “allegri nichilisti” e i loro sberleffi postmoderni, subiti per decenni. Come dire: adesso tocca a voi, i cultori del relativo, patire «la tortura invisibile dell’incertezza», stando a un titolo dell’Osservatore Romano dell’inizio di questa estate di sconquassi. «Gli uomini con una certezza incidono nella storia, l’incertezza fa soffrire», ribadisce la presidente del Meeting Emilia Guarneri con vago compiacimento. È così: a Rimini, a centinaia di migliaia, sono arrivati i pellegrini dalle certezze salde.
Brillano di certezze, per esempio, gli occhi azzurri di Miriam. Viene dall’Umbria, è al suo primo Meeting, le hanno messo in mano una ramazza e per sette giorni pulirà la moquette dalle cartacce. Eppure è felice come se le avessero fatto un regalo: «Faccio la quarta liceo, non so se troverò un lavoro, ma finché sono qui mi sento circondata da persone che hanno qualcosa in più». Squilla di certezze la trombetta di plastica di Ignazio, viene da Torino, gli è toccato fare il banditore del catalogo: «Vado male a scuola, ma sono fortunato: nella vita so a chi chiedere consiglio prima di fare una scelta».
Sono ragazzi, rispondono d’istinto. Curioso: da queste parti ti aspetteresti che la risposta alla domanda del cronista, “qual è la tua certezza?”, fosse un nome, anzi il Nome: Gesù Cristo risorto. E forse questa è la risposta implicita, però la prima a venir fuori è un’altra: la vera certezza è l’appartenenza a una comunità , a un’identità . Roberto e Patrizia, coniugi torinesi, trovano la sintesi: «Ti dà certezze far parte di un movimento che non è guidato solo da menti umane». Come tanti, spendono a Rimini un po’ di ferie, non vedono il mare, si chiudono in questa cittadella ad aria condizionata dove possono ascoltare santi e politicanti, asceti e tycoon, potenti e spossessati, ma soprattutto fare il pieno di un senso di affidamento, di un abbraccio collettivo che solleva la vita e rassicura l’anima. La maglietta più venduta al Meeting lo dice con parole più semplici del filosofo Esposito: «Dio c’è, ma non sei tu: rilassati!».
Eppure Cl non è un movimento misticheggiante, non c’è l’ascetismo neocatecumenale, non c’è il fervore dei Focolarini, qui le ragazzine hanno gli shorts e i ragazzini le bragone larghe come tutti, si digitano sms compulsivi e si assaltano i fast-food, e preti e suore sono quasi invisibili. Ed è difficile negare che questo evento che fattura quasi nove milioni di euro, questa impresa ultratrentennale che vanta di essere «il più grande festival culturale d’Europa», sia la vetrina di un mondo assai materiale, il ramificato arcipelago ciellino, che è tante cose insieme: una lobby politica scaltra, capace di eleggere o silurare un sindaco, una holding degli affari e degli appalti disinvolta e spesso discussa, un impero no-profit che mira a occupare ogni angolo del sociale. Ma chi passi qualche giorno al Meeting non può non ammettere che nulla di tutto questo esisterebbe se non poggiasse su una sorprendente capacità di mobilitazione di coscienze, di sincero coinvolgimento intimo, su una leva di massa di entusiasmi come ormai pochi movimenti in Italia sanno suscitare, e nessuno da altrettanto tempo.
Cl è forse l’attore più longevo sulla scena politico-sociale italiana, sopravvissuto anche al crollo della Prima Repubblica. Adriano e Paola, di Jesi, si conobbero da attivisti ciellini universitari ormai tanti anni fa, e continuano a venire al Meeting anche oggi che hanno tre figli: «Siamo preoccupati per il loro futuro, ma chi ha la certezza di una prospettiva di infinito ha meno paura». Le certezze a quanto pare allungano la vita anche dei movimenti. E l’orgoglio di questa continuità scivola fatalmente in una sorta di ambizione storica. Napolitano e Amato, tutori della Nazione e della sua memoria storica, si saranno accorti sicuramente che la mostra che hanno visitato, dedicata ai “150 anni di sussidiarietà “, non è una celebrazione dello Stato unitario, ma al contrario della resistenza a quello Stato, a partire dall’opposizione cattolica al regime liberale, dalla costruzione del contropotere nella società , dai “santi sociali” come Murialdo, Cottolengo, don Bosco, da quell’Opera dei Congressi di cui la Compagnia delle Opere ciellina si sente la resurrezione contemporanea.
E di quella «autentica realtà del popolo», fatta di «corpi intermedi», di auto-organizzazione “dal basso”, avversa all’individualismo come al collettivismo, ora l’arcipelago ciellino rivendica l’intera eredità . Anche perché gli altri sono scomparsi. «Altre volte nella sua storia l’Italia ha vissuto gravi crisi», gracchia al microfono la lezioncina della giovane universitaria che fa da cicerone a una comitiva, «ma allora era più diffusa la capacità di reagire». Erano «popolo» anche i socialisti con le loro mutue e i loro sindacati, perfino i comunisti con le loro Case del popolo, peccato che non ci siano più, onore delle armi a Peppone che non è sopravvissuto a don Camillo, forse perché non aveva abbastanza certezze, o non aveva quelle giuste. E c’è una soddisfazione un po’ beffarda in questo omaggio postumo, dove perfino a Togliatti, a proposito del primato dell’individuo sullo Stato, si fanno dire quasi le stesse cose che diceva Dossetti.
È questa in fondo la forza dei nipotini del “Gius”. Loro sì che hanno la “vocazione maggioritaria” e la applicano. Amano annettersi con civetteria culturale i territori più inattesi e impervi, meglio se rimasti disabitati. Arruolano Sartre, Pasolini, Pavese, preferiscono il tormentato Dostoevskij al moralista Tolstoj. La colonna sonora del Meeting è di un cantautore cubano fotografato davanti al ritratto del Che. C’è la coda davanti alla mostra su Pasternak, scrittore cristiano sì, però di un genere molto speciale, in fondo l’eroe del suo grande romanzo è uno che tradisce la moglie, «ma vuoi mettere che slancio del cuore, che amore per la vita», trilla una giovane signora con aria da professoressa. Come salamandre, passano indenni attraverso tutti i fuochi, protetti dalla corazza della propria fiducia in sé. Quando sei molto certo di quel che sei, giustifichi sempre quel che fai.
Anche in politica. Forse bisogna accantonare definitivamente la domanda-tormentone di ogni anno, “con chi sta Cl?”. Cl, da sempre, sta con Cl. Ma in attesa della definitiva «riscossa trasversale ai partiti», sceglie a chi concedere i propri favori. Andreottiani, Berlusconiani lo sono stati, per convenienza e perfino per convinzione. Ma le platee del Meeting sono facilmente infiammabili, se il cerino è buono, qualunque colore abbia. L’ex comunista Napolitano ha centrato le parole giuste e adesso è quasi un obbligo citarle all’inizio di ogni dibattito. Il giovane signor Fiat, John Elkann, sembra invece aver perso l’occasione: mercoledì doveva essere la sua giornata, ma ha dato risposte laconiche, formali, e la passione non è scattata. E dire che la gente del Meeting, che non è ricca ma non è neppure pauperista, ha un debole per le storie di successo e di ricchezza, se condite da qualche emozione: un altro signore degli Agnelli, Umberto, giusto dieci anni fa commosse la platea parlando della morte di suo figlio.
Passionali, appassionabili, ma capaci di revoche di fiducia altrettanto furenti. Il Meeting, che ha un’ossessione per la scuola, quest’anno non ha invitato il ministro Gelmini, scaricata a sorpresa come «statalista». «Stima sì, deleghe no», spiega Giuseppe, studente fiorentino di Giurisprudenza, volontario nell’arena bambini, «in politica esiste solo la fiducia nelle persone. Io non distribuisco neppure un volantino di Formigoni se non mi convince». Già , Formigoni, “il Celeste”: una sua gigantografia sorridente spunta proprio dietro lo stand della Regione Lombardia, è l’unico spazio politico del Meeting, anzi è l’unico uomo politico ad avere diritto a un affaccio personale. Per la sua avventura post-berlusconiana il governatore cerca l’appoggio dei suoi antichi compagni di strada, ammicca, si proclama «ciellino fin nel midollo»¸ ma non è che ci sia proprio la ressa per aggiudicarsi le sue magliette autografate o i braccialetti tricolori col suo nome. Chi riscuoterà i prossimi voti del movimento, lui o l’antagonista Lupi? «Pfff…»¸ sbotta irritato Andrea, maglia verde da volontario, «i politici passano, i popoli restano. Basta con queste domande». La politica è in ribasso quest’anno al Meeting. Non dà abbastanza certezze.
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